“A Praga muto nella piazza c’è Jan”. Palach, l’eroe della libertà che solo la destra non volle censurare

20 Gen 2024 8:56 - di Mario Campanella
jan palach

Quel 19 gennaio del 1969, quando spirò dopo tre giorni di agonia, Jan Palach aveva appena diciannove anni e il mondo stava cambiando, dopo il ’68 parigino e l’avvio della rivoluzione giovanile. Ma la Cecoslovacchia, chiamata così dal regime sovietico per unire Praga e Bratislava, era morta un anno prima, soffocata dai carri armati che Breznev aveva inviato per reprimere la rivolta. Esattamente come dodici anni prima a Budapest ma con una differenza sostanziale che solo Indro Montanelli aveva colto. Mentre i rivoltosi ungheresi erano comunisti che volevano cambiare le cose rimanendo tali, i cechi erano spinti da un vento di libertà che rifiutava il blocco di Varsavia e l’oppressione e Mosca.

Jan Palach si diede fuoco, morendo nel modo più atroce possibile ma riuscendo contemporaneamente a infliggere un colpo durissimo al Pcus. Una sorta di seppuku boemo un anno e mezzo prima di quello che avrebbe fatto Yukio Mishima a Tokio, immolando se stesso nel nome della libertà negata. “Nei giorni successivi – ricorda su Agi.it Francesco Russo – altri ragazzi suoi compatrioti si sarebbero immolati nello stesso modo per dare seguito al suo sacrificio. Il 25 febbraio tocca a Jan Zajíc. In aprile a Evzen Plocek. Non saranno gli unici. Anche in altri Paesi del blocco sovietico alcuni studenti si sacrificheranno nello stesso modo. Il 15 maggio 1972 a Kaunas, in Lituania, il diciannovenne Romas Kalanta, fervente cattolico, muore come Palach per protestare contro l’oppressore sovietica. Solo nello stesso anno altre 13 persone avrebbero seguito il suo esempio”.

Jan era figlio di quella cultura ausburgica che aveva reso celebre l’Ottocento prima di essere travolta dalla prima, grande guerra mondiale.
In quel fuoco drammatico ardeva un desiderio di ribellione che avrebbe contaminato il mondo della destra, rendendo immortale la figura di Palach. Omaggiato nei testi del gruppo di musica alternativa la Compagnia dell’Anello. Tra i pochissimi che ricordarono Palach prima della caduta del Muro va citato senz’altro Francesco Guccini che, nella sua canzone Primavera di Praga (del 1970 ma registrata nell’autunno del 1969) lo paragona a Jan Hus, il pensatore boemo bruciato sul rogo per eresia nel 1415. Il comunismo avrebbe resistito oltre vent’anni nella cortina di ferro evocata da Churchill nel 1946.  Poi sarebbe tornato Dubcek a ricomporre i fiori di quella primavera resa gelida dal potere sovietico.

Nemmeno il suo nome fu reso pubblico quel 19 gennaio del 1969. Solo le iniziali, J. P., come si usava per i sedicenti e volgari ladri. Ma in quel martirio di Piazza San Venceslao, mentre la Tass parlava di suicidio per motivi personali, il signor J. P. cessava di essere uno studente ceco per diventare leggenda. La vittima vittoriosa del comunismo e di quel sol dell’avvenire che di morti ne fece milioni in quei tristi decenni. E in quell’ossimoro , dopo 55 anni , Jan è il simbolo del martirio laico, il Cristo immolato per liberare il mondo dal terrore. Amato e venerato dalla destra, oggi è ancora l’icona di una libertà insopprimibile. E nelle fiamme di una vita spezzata quel fuoco di vita arde imperituro in mezzo alle macerie degli orrori di un comunismo spietato.

 

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