Lucia Borsellino: “Buio istituzionale sull’agenda rossa di mio padre e sul mancato esame del Dna sulla borsa”

6 Ott 2023 11:44 - di Federica Argento
Lucia Borsellino

Un “buio istituzionale” avvolge “la vicenda della sottrazione dell‘agenda rossa che aveva mio padre il giorno della strage”. Lucia Borsellino continua la sua audizione davanti alla Commissione nazionale antimafia. Sono parole pesanti  quelle della figlia del giudice ucciso nella strage di via D’Amelio. Tanti i perché che solleva, che da troppo tempo rimanfono senza risposta. L’agenda, ha proseguito, “sarebbe stata una fonte inoppugnabile di informazioni”. Invece, il buio è calato su questo fondamentale elemento. Dolore e rabbia accompagnano la sua audizione: Abbiamo constatato il silenzio e ‘i non ricordo’ di molti uomini delle istituzioni. Che non ci hanno consentito risalire ai veri responsabili del depistaggio” e “ai mandanti ancora occulti”.  Giorni fa, nel corso dell’audizione Lucia Borsellino aveva fatto rivelazioni definite da FdI di imporetanza storica sul rapporto tra mafia e appalti sul quale il giudice ucciso  stava indagando: legame, dunque, connesso all’omicidio.

Lucia Borsellino: “Perché non fu fatto l’esame del dna sulla borsa di nostro padre?

Molti punti oscuri: “Non sappiamo perché non fu fatto l’esame del dna sulla borsa di nostro padre, tenendo conto che l’esplosione non l’aveva distrutta”. Aggiunge Lucia Borsellino: “Mi risulta che per la strage di Capaci venne fatta”, ha continuato, aggiungendo: a noi familiari “solo dopo 20 anni sono stati fatti i prelievi sanitari per eseguire questo esame: sapete che, dopo 20 anni, questo esame è inattendibile e non abbiamo avuto neppure l’esito”.

“Ci è stata consegnata la verità della menzogna”

Ci è stata consegnata in questi anni, per dirlo con le parole di mia sorella Fiammetta, la verità della menzogna“, afferma con amarezza la figlia di Borsellino. “Nonostante tutto, il nostro rispetto e la nostra fiducia nei confronti della magistratura è stata massima e non è mai venuta meno”. Ma “dopo tanto tempo non possiamo vederci negato, come figli, il diritto di porci e porre delle domande: di vederci chiaro dopo 31 anni di composto riserbo in cui ci è stata consegnata una verità della menzogna o una mancata verità”. Aggiunge Lucia Borsellino: “Qualunque ricostruzione dei fatti non può prescindere da riscontri documentali e testimonianze qualificate raccolte con rigore. E’ passato troppo tempo dalla strage, ben 31 anni: e non siamo più disposti ad accettare verità che non rispondono a questo rigore”.

“Noi familiari minacciati di morte”

Parla della tragedia familiare”: “La nostra famiglia non è stata mai risparmiata dalle minacce”. Ha ricordato quanto il padre voleva che i suoi figli “fossero consapevoli che i rischi che potevano correre non erano gli stessi di altri adolescenti”. “Nell’immediato periodo successivo alla strage” di via D’Amelio, ha ricordato Lucia Borsellino, “è avvenuto un altro episodio, fortunatamente isolato. Arrivavano lettere di solidarietà da tutto il mondo, ma anche qualche lettera con croci segnate con il carbone; e in particolare una”, ha continuato spiegando che come famiglia denunciarono il fatto. “Ma trattandosi di anonimi potevano essere anche dei mitomani”.

“Mio padre aveva coraggio ma anche paura”

Gli unici ricordi sereni sono i giorni passati all’Asinara: “Fu uno dei pochi momenti in cui abbiamo sentito lo Stato accanto a noi”. Ricorda “quell’esperienza traumatica” in cui “per la prima volta venivamo prelevati e portati in una località segreta”. Lucia Borsellino ricorda che furono poi gli stessi figli a dire al padre “che era arrivato forse il momento di chiedere di andare via da Palermo, anche per un certo periodo. Lui ci disse che lo avrebbe accettato. Purché gli avessero consentito di portare con sé anche la madre, mia nonna”. Ciò, secondo la figlia del giudice, significava che “mio padre aveva coraggio ma aveva anche paura” della morte, come tutti gli esseri umani.

Colosimo: “Vorrei che di questa commissione non si abbia mai a dire che non si è fatto quel che si deve fare”

“Credo che dovremmo chiedere perdono se non siamo riusciti in tutti questi anni a dare una risposta alle tante domande che fin qui ci avete posto, con sofferenza e amore. Abbiamo sentito il cuore batterci nei timpani. Vorrei che di questa commissione non si avesse mai a dire che non si è fatto quello che si doveva fare”. Così la presidente della commissione Antimafia, Chiara Colosimo aveva detto durante la prima audizione a palazzo san Macuto.

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