Minori che girano armati, l’esperto: «La pistola diventa il prolungamento della mente criminale»
Minori armati, un fenomeno in crescita. «Se oggi si parlasse con dirigenti di forze dell’ordine di varie città della Penisola, direbbero che ci sono delle aree in particolare dove gli adolescenti nell’ambito della criminalità viaggiano armati. Ci sono aree in cui gli adolescenti vengono armati, posseggono una pistola a tutti gli effetti. E quella pistola, una volta ottenuta, diventa non il prolungamento del braccio, ma il prolungamento di una mente criminale. E a quel punto ci troviamo di fronte a giovani criminali in erba, che sono criminali a tutti gli effetti. Questo però non vuol dire che non possiamo recuperarli». È la riflessione di Luca Bernardo, direttore della Casa pediatrica dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano. Commenta all’Adnkronos Salute gli ultimi episodi di violenza che hanno visto come protagonisti giovanissimi.
Minori armati, l’errore è abbandonarli a metà percorso
A colpire – tra le vicende dei minori armati – è in particolare il caso del 16enne che a Napoli ha usato la pistola contro un ragazzo di 24 anni, il musicista Giovanbattista Cutolo, per una banale lite su uno scooter parcheggiato male. Un ragazzo che prima dei 14 anni era già stato accusato di tentato omicidio. «Possiamo recuperare gli adolescenti violenti – assicura l’esperto – è importante questa operazione. E lo si fa, a parte mettendo in atto la conseguente azione penale, attraverso i tecnici che operano nell’ambito della sanità e nell’ambito psichiatrico e psicologico. E che li seguono all’interno del carcere minorile, in comunità e poi anche successivamente. Perché l’errore che si può fare è abbandonarli a metà del percorso, vanno seguiti negli anni. Come succede nel caso della tossicodipendenza, infatti, questi ragazzi possono subire il “richiamo” della violenza, e il rischio che diventino adulti violenti va evitato seguendoli nel tempo».
«La prevenzione va fatta da persone che hanno competenza»
L’unico vero antidoto, conclude Bernardo, «è la prevenzione. Spesso, però, viene fatta un po’ a macchia di leopardo a livello nazionale e non c’è un modello chiaro e comune. Ma soprattutto viene fatta – in buona fede – da persone che non hanno la competenza. I luoghi per portare avanti questa preziosa attività sono la scuola, la famiglia e i luoghi dove si frequentano attività sportive. Lo sport, infatti, è fondamentale e aiuta, ma non è esente da bullismo. C’è una parte che non è presidiata. Va creato dunque un modello per fare prevenzione, che poi va adattato alle situazioni e all’ambiente, e messo in atto da persone con competenza professionale. Senza dimenticare di allargare questa azione anche all’emulatore, che è tanto pericoloso quanto il carnefice primario».