Dissidente cinese chiede asilo agli Usa: «Fuggo dalla repressione del Partito comunista»
Dissidente cinese in fuga, “accampato” da venerdì scorso all’aeroporto di Taiwan. Chiede asilo «agli Stati Uniti o al Canada». La Cnn accende i riflettori sulla storia di Chen Siming, che ogni anno dal 2017 ricorda il massacro del 1989 di Piazza Tiananmen con manifestazioni e post sui social media. Alla rete Chen ha raccontato di essere fuggito a luglio dal gigante asiatico, dove per lui aumentavano pressioni e controlli. In Thailandia il suo timore era di essere riportato indietro nella Repubblica Popolare. Agli Usa chiede di «stare dalla parte del popolo cinese» e sollecita «aiuto per porre fine al governo autoritario del Partito comunista cinese, in modo che per la Cina ci sia democrazia».
La denuncia del dissidente cinese
Chen in passato è stato agli arresti, ma da un paio di anni – denuncia – la presa di Pechino è ancora più stretta. Ha raccontato di telefonate quotidiane da parte della polizia e di convocazioni negli uffici di polizia. Si è detto «triste, arrabbiato e spaventato» dopo aver ricevuto il 21 luglio la notizia che sarebbe stato sottoposto a una valutazione psichiatrica. Così, ha raccontato alla Cnn, ha passato il confine con il Laos e a inizio agosto è entrato in Thailandia, dove si è registrato come rifugiato presso l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.
«Fuggo dalla repressione politica dei comunisti»
Ma da rifugiato il dissidente cinese non si sentiva al riparo dalla possibilità di finire agli arresti. Così è fuggito anche dalla Thailandia e venerdì scorso è arrivato a Taiwan, isola di fatto indipendente che Pechino considera una «provincia ribelle» da «riunificare». «Per sfuggire alla repressione politica del Partito comunista cinese, sono ora a Taiwan – afferma in un video diffuso tramite il social X – Spero di ottenere asilo politico dagli Usa o dal Canada. Chiedo agli amici di esortare il governo di Taiwan a non rimandarmi in Cina». Poco dopo, ha detto alla Cnn, è stato interrogato dalle autorità per l’immigrazione di Taiwan e dal Consiglio per gli affari continentali. Consiglio che, sollecitato dalla rete, non ha voluto fornire sul caso del «dissidente cinese Chen Siming».