Mafia, indagini sulle stragi del 1993: Dell’Utri si avvale della facoltà di non rispondere

18 Lug 2023 14:11 - di Valerio Falerni
Dell'Utri

Marcello Dell’Utri si avvarrà della facoltà di non rispondere ai pm che conducono l’inchiesta sui presunti mandanti esterni delle stragi di mafia del 1993 a Roma, Firenze e Milano. Sono stati i legali dell’ex-senatore di Forza Italia a notificare ai pubblici ministeri Luca Tescaroli e Luca Turco la decisione del loro assistito. Si tratta di una scelta consentita dal Codice all’indagato, in forza della quale oggi Dell’Utri oggi non si recherà oggi presso gli uffici della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo toscano. Nell’ambito della stessa inchiesta, la scorsa settimana gli investigatori della Dia di Firenze e di Milano hanno perquisito l’abitazione e gli uffici milanesi dell’ex-fondatore di Publitalia.

Dell’Utri oggi non andrà a Firenze

Secondo l’ipotesi accusatoria formulata dalla Dda fiorentina, Dell’Utri, che ha già scontato una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, avrebbe istigato e sollecitato i boss Filippo e Giuseppe Graviano «ad organizzare e attuare la campagna stragista e, comunque, a proseguirla, al fine di contribuire a creare le condizioni per l’affermazione di Forza Italia». I fatti si riferiscono al biennio 1993-’94. In questa stessa inchiesta compariva, in qualità di indagato, anche il nome di Silvio Berlusconi, scomparso un mese fa. La ripresa delle indagini a carico Dell’Utri ha innescato un fortissimo vespaio polemico, e non solo da parte dei dirigenti e dei parlamentari azzurri.

È accusato di aver istigato i boss Graviano

Non pochi osservatori hanno infatti scorto nell’iniziativa della Dda fiorentina una sorta di intento persecutorio post-mortem nei confronti dell’ex-premier. Il culmine ieri, con la lettera aperta di Marina Berlusconi al Giornale, in cui la primogenita del Cavaliere ha bollato come «delirante» l’accusa rivolta al padre (e a Dell’Utri) di essere tra i mandanti delle stragi mafiose del 1993. Da qui l’invito al governo a riformare la giustizia affinché – ha scritto nella sua missiva al Giornale – tutti abbiano «diritto a una giustizia che, come si legge nelle aule di tribunale, “sia uguale per tutti“. Per tutti – ha concluso –, senza che siano certe Procure a decidere chi sì e chi no».

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