Repubblica fa articoli-spot per l’utero in affitto. Merlo ricorda il “presepe” di Nichi, Ed e Thelma
E oggi Repubblica fa il bis. Con un lungo articolo dal titolo: “Io, madre surrogata e la famiglia allargata con Andrea e Lia. L’amore non è reato“. E’ un’intervista all’infermiera californiana Nancy Haker. Quattro figli, 56 anni, diversi mariti, una nidiata di nipoti. E due maternità surrogate. Nel 2006 e nel 2008. «Da tempo volevo fare una gestazione per altri – racconta – Ma all’agenzia “Growing generation” dissi che sarei stata disponibile soltanto per una coppia gay. Scelta da me». Lei sceglie “una delle coppie pioniere delle famiglie arcobaleno in Italia”. Tommaso e Gianfranco. Tra loro tre una sintonia immediata. La madre surrogata non vedeva l’ora. E racconta di avere deciso di voler fare la gestazione per altri perché “ho un cugino gay che avrebbe voluto disperatamente diventare padre, voleva adottare, ma non glielo hanno concesso. Di fronte al suo dolore ho deciso che avrei donato il mio utero a chi ne avesse bisogno“. Ma mica ha donato l’utero al cugino. L’ha donato, dietro pagamento, a Tommaso e Gianfranco.
Donare non è poi proprio il termine appropriato. Per la coppia la madre surrogata partorisce Lia e Andrea. “Ventimila dollari per la gravidanza di Lia, ventimila dollari per la gravidanza di Andrea“. Ma la sua è stata una scelta altruistica, afferma. Né si è dispiaciuta di separarsi dai suoi figli. Per loro si accontenta di essere una specie di zia.
«Ero felice della sua nascita– afferma a proposito della prima gravidanza – sono stata felice di tenerla in braccio, ma sapevo fin dal primo momento che Lia e poi Andrea sarebbero stati figli di Tommaso e Gianfranco, non miei. Tutta la gravidanza per altri avviene con questa consapevolezza. Il concepimento in vitro è un fatto medico, non si realizza dopo una notte d’amore. L’ovocita è di un’altra donna. Non c’è legame biologico. Per questo è fondamentale essere già madri. Non ero triste, sapevo che Tommaso e Gianfranco, Lia e Andrea, sarebbero rimasti nella mia vita». Cosa è per loro? Una specie di zia? «In un certo senso. Sono stata diverse volte in Italia, tornerò il prossimo anno, sono stata testimone di nozze di Franco e Tommaso, quando i figli erano piccoli ci sentivamo molto spesso. Loro sanno bene come sono venuti al mondo, sanno che sono la “portatrice”. È tutto trasparente». Portatrice , non madre. E ha provato tanta gioia. Le donne che hanno paura, o sono contrarie, dovrebbero ascoltare la sua esperienza: questa la morale della paginata-spot. Ci pensa Repubblica a riportare le donne, dunque, a un sano altruismo. Mica come quelle madri egoiste che pensano solo a se stesse…