Repubblica fa articoli-spot per l’utero in affitto. Merlo ricorda il “presepe” di Nichi, Ed e Thelma

17 Giu 2023 18:13 - di Francesco Severini
utero in affitto

Repubblica si affanna a propagandare l’utero in affitto non come un atto di compravendita ma come un atto di amore disinteressato. E lo fa per due giorni di seguito. Anche la rubrica delle lettere, curata da Francesco Merlo, si piega all’esigenza da réclame. Scriveva ieri un lettore:  “Caro Merlo, ho letto l’articolo di Nichi Vendola sulla gestazione per altri (Gpa) e mi sono commosso: “ Un figlio sognato, desiderato, scelto, può mai essere un delitto, anzi un crimine universale? E una donna, non ricattata dalla povertà… non il bottino di un commercio clandestino”. Ero tendenzialmente contrario, ora però“. Basta leggere Vendola, insomma, per mutare idea.

La risposta di Merlo ha toni lirici. “Andai a trovare Ed, Nichi e il neonato Tobia a Montreal, in casa della madre di Ed. Tobia è nato a Sacramento. Mi mostrarono foto e video benedetti dalla grazia: a Sacramento avevano trascorso “la più lunga attesa della nostra vita” in casa di una coppia gay che li aveva ospitati senza conoscerli, mentre dall’Italia arrivavano le stesse volgarità di oggi: “C’è qualcosa di storto nel mio Paese – mi disse Nichi – che mi ha fatto piangere di dolore”. Avete assistito al parto? “Siamo arrivati un minuto dopo. Avevamo fatto le prove: venti minuti di una strada dritta. Il marito di Thelma, la gestante, ci ha mandato un messaggio: the baby is coming. E, poco prima dei venti minuti: the baby has arrived”. Parto naturale? “Sì, velocissimo”. Quando vi hanno dato il bambino? “L’indomani. Ma non siamo partiti subito. Abbiamo trascorso molto tempo con Thelma e la sua numerosa e bella famiglia”. È stato allattato al seno? “No. Ma per un po’ Thelma ci ha mandato il latte”. Utero in affitto? “Capisco che, a parte la bestialità razzista e omofoba, ci sia un pezzo d’Italia per bene che possa sentirsi disorientata. La donatrice è una bella ragazza di 26 anni, mamma di una bambina bionda. La gestante, con il bel faccione allegro, “è un’assistente sociale di 29 anni, mamma di tre figli”. La donatrice, la gestante… la gpa: è il nuovo linguaggio della fabbrica di bambini dove è assente il concetto di “madre”. Non si parla di soldi, ovviamente, ma solo di coccole e scambi di tenerezze…

E oggi Repubblica fa il bis. Con un lungo articolo dal titolo: “Io, madre surrogata e la famiglia allargata con Andrea e Lia. L’amore non è reato“. E’ un’intervista all’infermiera californiana Nancy Haker. Quattro figli, 56 anni, diversi mariti, una nidiata di nipoti. E due maternità surrogate. Nel 2006 e nel 2008. «Da tempo volevo fare una gestazione per altri – racconta – Ma all’agenzia “Growing generation” dissi che sarei stata disponibile soltanto per una coppia gay. Scelta da me». Lei sceglie “una delle coppie pioniere delle famiglie arcobaleno in Italia”. Tommaso e Gianfranco. Tra loro tre una sintonia immediata. La madre surrogata non vedeva l’ora. E racconta di avere deciso di voler fare la gestazione per altri perché “ho un cugino gay che avrebbe voluto disperatamente diventare padre, voleva adottare, ma non glielo hanno concesso. Di fronte al suo dolore ho deciso che avrei donato il mio utero a chi ne avesse bisogno“. Ma mica ha donato l’utero al cugino. L’ha donato, dietro pagamento, a Tommaso e Gianfranco.

Donare non è poi proprio il termine appropriato. Per la coppia la madre surrogata partorisce Lia e Andrea. “Ventimila dollari per la gravidanza di Lia, ventimila dollari per la gravidanza di Andrea“. Ma la sua è stata una scelta altruistica, afferma. Né si è dispiaciuta di separarsi dai suoi figli. Per loro si accontenta di essere una specie di zia.

«Ero felice della sua nascita– afferma a proposito della prima gravidanza – sono stata felice di tenerla in braccio, ma sapevo fin dal primo momento che Lia e poi Andrea sarebbero stati figli di Tommaso e Gianfranco, non miei. Tutta la gravidanza per altri avviene con questa consapevolezza. Il concepimento in vitro è un fatto medico, non si realizza dopo una notte d’amore. L’ovocita è di un’altra donna. Non c’è legame biologico. Per questo è fondamentale essere già madri. Non ero triste, sapevo che Tommaso e Gianfranco, Lia e Andrea, sarebbero rimasti nella mia vita». Cosa è per loro? Una specie di zia? «In un certo senso. Sono stata diverse volte in Italia, tornerò il prossimo anno, sono stata testimone di nozze di Franco e Tommaso, quando i figli erano piccoli ci sentivamo molto spesso. Loro sanno bene come sono venuti al mondo, sanno che sono la “portatrice”. È tutto trasparente». Portatrice , non madre. E ha provato tanta gioia. Le donne che hanno paura, o sono contrarie, dovrebbero ascoltare la sua esperienza: questa la morale della paginata-spot. Ci pensa Repubblica a riportare le donne, dunque, a un sano altruismo. Mica come quelle madri egoiste che pensano solo a se stesse…

 

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