Rebatet e il fascismo francese. Nel dibattito, a sorpresa, emergono aneddoti sul Secolo e sul Fuan
Lucien Rebatet (1903-1972) è, tra gli intellettuali collaborazionisti francesi, l’autore forse più trascurato, in patria e anche in Italia. Di sicuro ci ha lasciato un “capolavoro”, sulle orme di Proust, con il fluviale romanzo I due Stendardi, di recente edito in Italia da Settecolori.
Rebatet autore maledetto e sottovalutato
Rebatet viene accostato agli altri intellettuali che subirono la fascinazione del fascismo: Drieu La Rochelle, Céline, Brasillach. Se volessimo fornire etichette diremmo che Drieu è il decadente, Brasillach il romantico, Rebatet il maledetto e Céline il nichilista. In realtà sia Céline che Rebatet sono autori maledetti. Risultano ostici, complessi, perché si lasciarono bruciare dal fuoco dell’ideologia. Senza schermi anche dinanzi agli aspetti peggiori, sulfurei dei nuovi nazionalismi che si cristallizzavano nei regimi fascista e nazionalsocialista. Pensiamo al loro feroce antisemitismo. E a testi come Bagattelle di Céline o Le Decombres (Le macerie) di Rebatet.
Il saggio di Siniscalchi su Rebatet
Meno indagato di Céline, Rebatet è protagonista di un saggio da poco edito di Claudio Siniscalchi, Un rivoluzionario decadente. Vita maledetta di Lucien Rebatet (Oaks editrice) dal quale si comprende molto bene come la sua adesione al fascismo nasceva principalmente da un’urgenza estetica. Questi autori erano artisti, scrittori prima ancora che politici. Nel fascismo videro la speranza della rinascita dopo la decadenza. Della possibilità per la nazione francese di un recupero delle tradizioni e dello spirito vitale fiaccato dalle democrazie liberali e dal comunismo.
La presentazione al Centro studi Le 12 Querce
Il libro è stato presentato ieri a Roma nella sede del Centro Studi Tony e Andrea Augello “Le 12 Querce”. Introdotto da Francesca Notargiovanni l’autore, Claudio Siniscalchi, ha parlato dell’importanza del cinema per Brasillach e Rebatet. Il cinema era per loro il linguaggio nuovo del Novecento che consentiva a questi intellettuali di proporre il loro spirito reazionario con un’estetica moderna e all’avanguardia. Siniscalchi, che è docente di Storia del cinema, aveva affrontato il tema già nel saggio Senza romanticismo. Robert Brasillach, il cinema e la fine della Francia (Bietti editore) nel quale indagava il Brasillach autore nel 1935 (con Maurice Bardéche) di una apprezzata Histoire du cinéma. Pagine importanti per comprendere un aspetto trascurato di questo autore così prolifico e sfortunato, oggetto di un vero e proprio culto da parte dei giovani di destra.
Con Siniscalchi è intervenuta anche Annalisa Terranova spiegando in che modo la figura di Rebatet, che nel dopoguerra non ebbe il successo che il suo romanzo I due stendardi avrebbe meritato, abbia contribuito alla fisionomia del cosiddetto “romanticismo fascista”, titolo del saggio di Paul Sérant tradotto in Italia nel 1961 grazie alla casa editrice Sugar e poi riproposto da Ciarrapico.
Le testimonianze di Della Bona e Giubilo
E’ stata una piacevole sorpresa la partecipazione al dibattito di Lello Della Bona, ex giornalista del Secolo e fondatore del Bagaglino, che ha raccontato come fece tradurre nel 1964 la prima opera in italiano di Brasillach: Lettera a un soldato della classe ’40. L’opera fu pubblicizzata sul Secolo ed ebbe uno strepitoso successo. “Arrivarono diecimila vaglia per l’acquisto del libro – ha detto Della Bona – e quindi io ebbi dal Secolo l’incarico di occuparmi settimanalmente della pagina dei libri”.
Presente tra il pubblico anche Pietro Giubilo, che ha a sua volta raccontato un aneddoto: la rappresentazione teatrale dell’opera di Brasillach, Berenice, in un teatro romano a cura del Fuan Caravella. “Ricordo – ha detto – che c’erano tutti questi attivisti che in religioso silenzio erano seduti a teatro e seguivano con grande attenzione”.
L’attore Simone Guarany ha quindi letto, concludendo la serata, alcuni brani da I due Stendardi di Rebatet, da Gilles di Drieu la Rochelle, dal Voyage di Céline e da I sette colori di Brasillach.