Pisa, psichiatri forensi: “Troppi pseudo-sani pericolosi, si mimetizzano: servono nuovi modelli”

26 Apr 2023 12:10 - di Redazione
Pisa psichiatri forensi

L’omicidio di Pisa ha lasciato sgomenti. Molto interessante e puntuale la nota degli psichiatri forensi. “E’ imprecisato il numero dei soggetti considerati ‘pericolosi’ che minacciano medici, infermieri, avvocati, magistrati, insegnanti, etc.; ai quali non si riesce a fornire una risposta di cura o rieducazione. Non sono così ‘malati’ da poter essere sottoposti a Trattamento sanitario obbligatorio; che comunque dura una settimana e loro stessi non si ritengono ‘malati’ per sottoporsi volontariamente ad alcuna forma di trattamento. Tuttavia, non appaiono così ‘sani’ da poter essere arrestati e custoditi in carcere senza un accertamento psichiatrico”. Lo denuncia il presidente della Società italiana di psichiatria forense, Enrico Zanalda all‘Adnkronos dopo l’agguato mortale alla psichiatra Barbara Capovani.

Psichiatri forensi: “Troppi pseudo-sani pericolosi, servono nuovi modelli”

“Queste persone attribuiscono il loro disagio interno alla società o ad alcune categorie di questa che diventano il loro persecutore; hanno delle idee così bizzarre che difficilmente vengono considerati sani. Talvolta si mimetizzano in gruppi o associazioni alternative in cui ci sono correnti di pensiero come quella antipsichiatrica: terrapiattisti, cercatori di Ufo che comprendono persone rispettabili e tutt’altro che violente. E’ un argomento delicato perché da un lato non si riescono a prevenire omicidi di sanitari come quello di Pisa; e dall’altro non si vuole impedire alle persone di manifestare il proprio dissenso o pensiero in qualunque ambito anche molto originale. Bisogna impedire però – spiega Zanalda – che dal dissenso si passi alla rabbia. E da questa alla violenza che viene agita da quei soggetti meno dotati intellettivamente che non riescono a dominare l’impulso violento”.

Psichiatri forensi: il caso di Pisa insegna che servono nuovi modelli

Che fare? “Bisognerebbe poter contenere e rieducare queste persone dal momento in cui diventano reiteratamente minacciose; individuando delle soluzioni restrittive che non sono né il carcere né la Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza). Molti dei pazienti in Rems non hanno una malattia psichiatrica certa: si tratta di detenuti assegnati alla Rems per disturbi di personalità antisociale; e dipendenza da sostanze o marginalità sociale, che non vanno confuse con le malattie mentali che possono usufruire dei percorsi residenziali nelle strutture di cura”.

“Le Rems – continua Zanalda – dovrebbero accogliere solo autori di reato giudicati, in maniera definitiva, infermi o seminfermi di mente; socialmente pericolosi e non adatti a soluzioni meno restrittive”. Sui 709 ospiti ricoverati nelle 31 Rems distribuite sul territorio nazionale, oltre la metà sono destinatari di misure provvisorie: analoghe alla custodia cautelare in carcere. In molti casi si tratta di detenuti non affetti da una patologia mentale conclamata. Vengono ‘etichettati’ come psichiatrici e assegnati alle Rems senza avere un’indicazione clinica. Persone che sottraggono posti a chi ne ha davvero bisogno; e che dovrebbero andare in carcere o essere presi in carico da altri servizi sociosanitari rieducativi”.

“Case di lavoro” poco utilizzate

“Per queste ragioni si può ritenere non necessario aumentare i posti nelle Rems; ma poter indirizzare le persone con disturbo antisociale di personalità in altre situazioni rieducative. Tra queste già esistono le ‘case di lavoro’ sottoutilizzate e sottorappresentate. Per curare bisogna prevenire ma non vi sono strumenti per poter limitare pazienti con noti comportamenti violenti prima che venga commesso un grave reato”. “L’accesso nelle carceri, nelle case di lavoro o nelle Rems – prosegue il presidente degli psichiatri forensi – avviene solo successivamente a un reato grave. Vi è la necessità di strutture comunitarie nuove, educative e contenitive.

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