Travaglio “bacchetta” Massimo Fini per un articolo sul Duce che sarebbe piaciuto a Montanelli
Bastian contrari si nasce. È questione di pelle, anzi pellaccia. Dev’essere dura o comunque tale da resistere alle incandescenti temperature dello zeitgeist, l’implacabile spirito del tempo da cui spesso germogliano i duri e puri del conformismo «senza se e senza ma». Viene in mente, ad esempio, un Massimo Fini. Simpatico o antipatico che sia, lui bastian contrario lo è davvero. Non per niente è uno di quei rari giornalisti refrattari a “legare il ciuccio“ dove vuole il padrone, regola aurea di ogni redazione che si rispetti, specialmente (e paradossalmente) in quelle in cui staziona la stampa sedicente “libera e indipendente” (il nostro “ciuccio” è invece politico e, quindi, senza trucco e senza inganno).
Massimo Fini è una firma di punta del Fatto Quotidiano
Prova ne sia l’articolo pubblicato oggi dal Fatto Quotidiano a mo’ di controcanto a quelli che – tipo professor Tomaso Montanari, altra firma di punta del giornale – «il fascismo è solo un crimine, oh yeah». Una prosa corsara, quella di Fini, decisamente fuori dalle rotte consentite dal mainstream. E tanto avanti si è spinto nella demolizione dei totem del luogocomunismo da beccarsi una paternale da Marco Travaglio (cui va dato comunque atto di non aver esercitato il suo “diritto di cestino“) e una ferma «presa di distanza» del Cdr che ne ha giudicato «inaccettabili» le tesi.
Un vero bastian contrario
Ma non è di storia che vogliamo parlare, bensì, appunto, di bastian contrari. E solo per ribadire che Massimo Fini lo è davvero mentre Travaglio no. È appezzottato, direbbero a Napoli, dove così bollano la merce simil-griffata, in realtà made in Forcella. È bastato infatti metterli a confronto in un’ideale “prova finestra” per rendersi conto che il primo è l’originale e il secondo, appunto, un pezzotto. E che laddove il bastian contrario si mette controvento, il pezzotto cerca riparo dietro l’aria che tira. Non a caso, appena letto Fini, Travaglio si è immediatamente calato nella comfort zone dell’antifascismo di maniera per rimettersi in riga. Peccato. Pensavamo che anche il direttore fosse pellaccia e invece era pellecchia. O, meglio, che si ispirasse a Montanelli e invece è (solo) a Montanari.