Mogol svela il Battisti anti-comunista: “Rifiutavamo le ideologie alla moda ma le Br amavano i nostri dischi”

2 Mar 2023 9:27 - di Leo Malaspina

Giulio Rapetti, in arte Mogol, e Lucio Battisti, che domenica compirebbe 80 anni, è risaputo che siano stati da sempre delle icone musicali soprattutto per i ragazzi di destra (anche se forse bisognerebbe dire, per quelli “non di sinistra”) nonostante i due si siano sempre, giustamente, sottratti alle strumentalizzazioni politiche. Oggi Mogol è consulente del ministero della Cultura, ma sempre da indipendente, in quanto leggendaria figura di autore italiano, e ricorda l’amico Battisti facendo anche alcune puntualizzazioni “politiche” che fanno chiarezza del clima che lui e il grande cantante italiano vivevano negli anni dei loro primi successi: “Non scrivevamo per i comunisti, e questo era un problema – racconta – si respirava un’aria pesante anche nei concerti, per questo Lucio decise a un certo punto di non apparire in pubblico…”, racconta Mogol al “Corriere della Sera“.

Mogol, Battisti e i comunisti: il loro canto libero…

Nell’intervista Mogol commenta alcuni brani che a destra vengono considerati come molto vicini alla propria sensibilità, come “Il mio canto libero“, che però, a detta dell’autore, non ha nulla di politico. “Racconta di un mio nuovo amore dopo il divorzio. Allora non era cosa comune e infatti inizia con ‘in un mondo che non ci vuole più…”-. Qualcuno l’aveva letta in chiave politica, come accadde ai “boschi di braccia tese” di “La collina dei ciliegi interpretati come una folla che fa il saluto romano. “Quelle braccia non erano un simbolo politico. Lo hanno detto anche per quelle della copertina di ‘Il mio canto libero’. Ma sono braccia con i palmi aperti come per un’invocazione al Signore. Volevano darmi del fascista perché non facevo canzoni impegnate….”.

Le ideologie alla moda? “Decidemmo di sparire, c’era aria pesante…”

Ed ecco il punto. Mogol spiega che in quel clima loro, di fatto, erano dei “resistenti”, rispetto alle ideologie dominanti di sinistra. “Non ho mai sentito Lucio parlare di politica: semplicemente non scrivevamo canzoni per il comunismo. Però i dischi di Lucio vennero trovati nel covo delle Br: è un fatto storico. I facili entusiasmi per le ideologie alla moda? Era una risposta al clima di allora. Uno come me rischiava… si sparava. Si arrivò a fare un processo pubblico a De Gregori, uno da pugno alzato, perché guadagnava facendo il cantante. Per evitare gli insulti consigliai a Lucio di non fare più concerti. La prese fin troppo alla lettera. Sparì. Non tornò a esibirsi nemmeno quando il clima cambiò. Credo che capì, anche se non me lo ha mai confessato, che questo l’avrebbe reso un mito”.

I motivi della lite tra i due amici

“Lucio studiava sette ore al giorno le canzoni dei più grandi artisti mondiali, un giorno mi disse che si era concentrato solo sulle pause di alcuni successi. Io ero la parte letteraria, mi chiamava ‘il poeta’. Ho sempre scritto le parole dopo la musica perché credo che ogni frase musicale abbia già un suo senso. Ci trovavamo tutte le mattine nella mia villa di campagna a Molteno. Io preparavo il primo caffè per accoglierlo, lui quelli successivi. Lucio stava sul divano con la chitarra, io sul tappeto con carta e penna. Lavoravamo un’ora, dalle 9 alle 10, e nasceva una canzone al giorno. Una volta che era pronto un album, il primo ascolto era riservato a un amico giardiniere…”. Poi Mogol racconta la separazione, nel 1980, dopo circa 150 canzoni scritte insieme: “Non fu una questione di soldi, ma di equità. Lui otteneva due terzi dei diritti e io un terzo. Chiesi di dividere in parti uguali. Sembrava d’accordo, ma il giorno dopo cambiò idea. Gli dissi che non avrei più lavorato con lui. Oggi gli direi, Lucio sta tranquillo, che tra un po’ staremo di nuovo insieme… Ho 86 anni…».

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