Strage di Bologna, ci risiamo: di nuovo in moto la fabbrica di “scoop” buoni solo per creare ammuina

30 Gen 2023 16:23 - di Massimiliano Mazzanti
strage di bologna

Francamente, non si capisce bene dove sarebbe lo “scoop”, ammesso che di “scoop” si tratti. Un fonogramma della polizia inglese, depositato agli atti dall’Associazione familiari delle vittime del 2 agosto, attesterebbe come Roberto Fiore e Gilberto Cavallini avrebbero niente di meno che “convissuto” al civico 9b di Tanbor Road a Londra. Quando? Nei primi anni ’80. È credibile, questo documento?

È bene ripetere, prima di rispondere a questo quesito: ammesso e non concesso che questo inedito fonogramma attesti quel che scrive oggi Il Fatto quotidiano e ricordando come, anche in vista del processo di primo grado, furono pubblicizzati documenti, come il “clamoroso appunto Cavallini” sul milione di dollari di Licio Gelli, disintegratisi in aula; oppure furono depositati documenti in dibattimento, come il verbale “mai prodotto prima” di Mauro Ansaldi, rivelatosi palesemente falso. Allora, premesso ciò, calendario alla mano, si fa fatica a pensare a una “convivenza” dei due a Londra, per di più nel periodo in cui i Nar avrebbero volentieri “fatto la pelle” a Fiore. Infatti, Cavallini è certamente giunto a Londra, nel febbraio-marzo del 1981, ma in compagnia della sua compagna di vita e del figlioletto appena nato. Per altro, dopo una breve sosta nella capitale inglese, causa il clima, decisero di spostarsi in Grecia.

Di certo, Cavallini non può aver convissuto con Fiore dopo il 12 settembre 1983, data in cui, a Milano, fu definitivamente arrestato. Dunque, Cavallini non espatriò né a Londra né in altri luoghi “subito dopo la strage di Bologna” e la sua latitanza – compresi lunghi rientri in Italia e accertate permanenze in Francia e in altre nazioni – durò complessivamente non più di 40 mesi. Ora, lo spazio temporale per una conoscenza con Fiore – in linea teorica – ci sarebbe pure, ma appare alquanto improbabile. Oltre che priva di alcun significato. Certo, potrebbe smentire il Fiore che afferma, dentro e fuori l’aula del Tribunale, di non averlo mai conosciuto, ma cosa dimostrerebbe, se non la scarsa memoria o la bugia del Fiore stesso? Processualmente parlando – si ripete per la terza volta: se fosse vero -, il fonogramma attesterebbe solo la conoscenza dei due, a Londra, in un periodo limitato di tempo, in una sorta di “solidarietà tra latitanti”, non il fatto di essere stati, prima del 2 agosto 1980, complici in alcunché.

Per altro, da come è stato diffuso, quel fonogramma non attesta che la polizia inglese avrebbe verificato in qualche modo che dietro i nomi “Stefano Sorrentino” e “Stefano De Michelis” si sarebbero travisati Roberto Fiore e Gilberto Cavallini, ma che, dietro quegli pseudonimi, si sarebbero potuti nascondere quei due. Insomma, un’ipotesi, più che un riscontro. Per tanto, ricordando gli episodi citati prima e tanti altri ancora, delle due, l’una: o quel documento dice il vero e, in quel caso, non attesta proprio nulla, nell’economia della ricerca della verità sulla strage di Bologna; oppure, non dice affatto quello che scrive Il Fatto quotidiano. In quest’ultima e molto probabile ipotesi, però, si aprirebbe un tema processuale importante: se si dovesse scoprire che, anche in previsione dell’Appello a Cavallini, un determinato circuito mediatico amplificasse prove che tali non sono, non sarebbe giusto che la Corte, poi, ne tenesse conto? Oppure, come accaduto in primo grado, per esempio, quando si scoprì come i “3 milioni in franchi svizzeri” presenti in un appunto di Cavallini, fossero magicamente diventati “3 milioni di franchi svizzeri”, si chiuderà il tutto con un’imbarazzata risatina, come se non si sapesse che, per due anni, si parlò di quella frase come della prova certa della sua colpevolezza?

 

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