Stazioni segrete di polizia cinese in 11 città d’Italia: l’incredibile accordo firmato dai governi Pd

6 Dic 2022 12:24 - di Davide Ventola
stazioni polizia cinese

Ci sono in Italia 11 stazioni di polizia non ufficiali del governo cinese che svolgerebbero attività di ricerca e repressione di cittadini e dissidenti all’estero. La denuncia arriva da Safeguard Defenders, una Ong spagnola che si occupa di diritti umani nei paesi asiatici.

Il numero di centrali identificate è a oltre 100, in almeno 53 Paesi sparsi nel mondo. L’Italia vanta il poco invidiabile record di nazione che ne ha più di tutte, con undici diverse stazioni di polizia sparse tra Milano, Roma, Venezia, Verona, Bolzano, Firenze, Prato (dove è presente una vasta comunità cinese) e una città siciliana non meglio specificata. Quella di Prato sarebbe stata identificata dai giornalisti di Repubblica in un’associazione culturale che ha chiuso i battenti appena è uscita la notizia delle stazioni di polizia segrete. In copertina, la foto da Google.

Sulle attività di pattugliamento, Safeguard Defenders ha trovato prove di un sistema di videosorveglianza in aree residenziali, “ufficialmente per scoraggiare crimini”. Sul punto, tuttavia, indagini locali “su una delle stazioni non avevano portato alla luce alcuna attività illegale”. L’Italia, che ospita ufficialmente 330.000 immigrati con passaporto cinese, secondo i dati Istat del 2021, viene indicata come un terreno fertile per la potenziale influenza di Pechino grazie ai numerosi accordi tra i due Paesi, di cui quello sui pattugliamenti congiunti è tra i più interessati dalla vicenda.

Stazioni di Polizia cinese: a Prato il “centro culturale” ha chiuso improvvisamente

Ad aprire le porte ai cinesi è stato Paolo Gentiloni, oggi commissario Ue. Correva l’anno 2015, Matteo Renzi era premier e l’esponente dem faceva il ministro degli Esteri. Sottoscrisse una cooperazione internazionale con Pechino. Il 27 aprile 2015  il ministro degli Esteri, futuro presidente del Consiglio, firma ben quattro accordi con Pechino. Al centro di quel memorandum vi sono la lotta a terrorismo, criminalità organizzata, traffico di migranti e tratta di esseri umani. I cinesi ne hanno indebitamente approfittato? L’ex ministro Gentiloni interpellato da il Giornale suggerisce «di rivolgersi a Farnesina o Viminale». Quando lo scorso settembre emergono le prove sull’attività a Prato di un centro della polizia cinese il Viminale, guidato da Luciana Lamorgese, è stato il primo a precisare che la centrale non desta «particolare preoccupazione», ha ricordato proprio Il Giornale.

La denuncia è arrivata da una Ong spagnola

La versione del regime di Pechino? Gli uffici sarebbero soltanto “stazioni di servizio” di polizia cinese per assistere i propri connazionali nelle procedure burocratiche, tra cui il rinnovo di passaporto o patente di guida, resisi ancora più utili durante le fasi più critiche della pandemia del Covid-19. L’indagine della ong sostiene che le stazioni non ufficiali sono usate da Pechino per “molestare, minacciare, intimidire e costringere le persone a tornare in Cina”, avendo accumulato prove di intimidazione in contrasto con il canale ufficiale dell’estradizione. “Monitoriamo i dati cinesi e ad aprile abbiamo ricevuto informazioni dal ministero della pubblica informazione che hanno mostrato che 210.000 persone sono state persuase a rientrare in un solo anno”, ha commentato Laura Harth, direttrice della campagna di Safeguard Defenders. Alcune delle persone costrette a rientrare erano tra gli obiettivi dell’operazione Fox Hunt, una grande campagna fortemente voluta dal presidente Xi Jinping, apparentemente per perseguire funzionari corrotti che erano fuggiti all’estero.

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