Marrazzo ai parlamentari di FdI: «Uscite allo scoperto». Il dirigente Ravetto:«Io gay, ma questa è violenza»

11 Ott 2022 12:12 - di Francesca De Ambra
Marrazzo

«Fate coming out e chi lo è, tra gli eletti di Fratelli d’Italia, dichiari di essere gay o lesbica». Ci va giù senza mezzi termini Fabrizio Marrazzo, storico portavoce del movimento Lgbt+. Per lui la battaglia contro le discriminazioni degli omosessuali passa dall’outing dei parlamentari, meglio ancora se di destra. Per è quella la parte politica maggiormente indiziata di non nutrire particolari simpatie verso le teorie gender e chi le rappresenta. In realtà non è così. Le battaglie condotte da FdI, come dalla Lega e da Forza Italia (e non solo) hanno obiettivi diversi da quelli temuti dal mondo Lgbt+. Sul ddl Zan, ad esempio, era quello di non comprimere la libertà d’espressione compromessa dall’articolo 4 del testo poi bocciato dal Senato. Lo stesso vale sul cosiddetto stepchild adoption, cioè l’adozione di minori da parte di coppie omogenitoriali.

Marrazzo è il portavoce del Partito gay

In quel caso in ballo c’è il diritto del bambino ad avere un padre e una madre di sesso opposto. Insomma, in molte battaglie condotte dalle organizzazioni gay c’è spesso un diritto (spesso preminente) compresso, quando non dimenticato o negato. La destra non fa altro che riportarlo nella sua giusta luce e per restituirgli la sua naturale prevalenza. Mai, però, c’è indulgenza verso le pratiche discriminatorie temute da Marrazzo. E che sia così lo confermano le parole di Mario Ravetto Flugy, omosessuale dichiarato, dirigente nazionale di Fratelli d’Italia. «Nel mio partito – dichiara – non è mai esistita discriminazione basata sulla inclinazione sessuale». Egli stesso ne è una testimonianza evidente.

Il dirigente di FdI: «Intimidazione inaccettabile»

C’è dunque da credergli quando bolla come «intimidatorio» l’invito lanciato «in modo ultimativo» di Marrazzo «per ingiungere ai “sospettati di FdI” di rendere pubblica la loro condizione personale». Un invito che Ravetto Flugy giudica «inaccettabile» come «ogni tentativo di mettere in piazza la vita privata di donne e uomini che hanno diritto di decidere liberamente se rendere pubblica o meno la loro inclinazione affettiva». Si tratta, insomma, conclude, di «una violenza psicologica insopportabile commessa, fra l’altro, da chi sostiene di operare per impedire che tante persone la subiscano».

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