Ricomporre la diaspora della destra diffusa per Giorgia Meloni premier. Sarebbe un errore non farlo

4 Ago 2022 13:15 - di Carmelo Briguglio

C’è una destra diffusa, oltre la destra parlamentare. Nulla di estremo o ultrà: vive pacificamente in ambienti, gruppi, figure; politiche, certo; ma pure culturali, sociali, civiche. Un arcipelago significativo di sigle e persone che hanno o hanno avuto legature con FdI o con le forme-partito che l’anno preceduta: Msi, An, Pdl, Fli; hanno condiviso idee e cultura di governo della stessa Giorgia Meloni, soprattutto in Alleanza nazionale. Ma anche di singoli, di “membership”, di cittadini già attivi o di ex militanti. Si tratta di appartenenze solide, persino storiche; talvolta liquide, occasionali. Nel primo caso, personalità e mondi che si sono allontanati – o sono tenuti lontani – dalla destra ufficiale. Un po’ perché accade in tutti i luoghi della politica; un po’ perché talune antropologie della “rive droite” sono gravate da un cercato destino da “individuo assoluto” per il quale “non c’è niente da aspettare…né dagli altri uomini né dalle cose”, per dirla con lo sfortunato pensiero di Carlo Michelstaedter.

Andare oltre divisioni e renitenze

E’ un sentimento diffuso che attraversa tanta gente, da anni “distaccata” da simboli e circuiti di partito. Tentata dal non prendere posizione o dall’astensione. Chissà perché non c’è mai stata un’indagine su questo versante del “non voto”? Corre accanto a questa area rinunciataria, il parallelo binario – anch’esso permanente nel quotidiano della destra – di umanissimi rancori e reciproci risentimenti; com’è naturale e forse fatale in un cammino fatto di inestricabili relazioni di vita pubblica e personale, di un “lessico famigliare” prodotto da reciproca conoscenza e frequentazione – un tempo molto più “fisica”, oggi più da “remoto”, come si dice – di tutti con ciascuno; dell’intersecarsi di piccole e grandi storie, private e comunitarie, attraverso cui si snoda la lunga storia politica della destra nel dopoguerra e in particolare nel ventennio berlusconiano.

Divisioni inevitabili ma tutti complici di successi e errori

Era fisiologico che su questo terreno nascessero fratture e divisioni, una o più diaspore che tanto fanno rassomigliare accadimenti e vicende delle opposte rive della politica italiana. Quasi impossibile non “tagliarsi”, farsi del male, in un campo dove tutti si davano del tu, dove ciascuno dell’altro conosce tuttora ascendenze, luoghi di nascita e di residenza politica; tutti troppo vicini, troppo assieme, complici di successi ed errori: rivendicati orgogliosamente a sé i primi, addossati a un perenne “loro”, i secondi. É l’ingenuità tipica della destra post-missina e perdurante nell’attuale stagione post-An; forse anche della politica tout court: quando si rinchiude in stati d’animo melò, di giustificato, o meno, corruccio che non esprime politica; quando si costringe a non farla. Qui, trovate i letti asciutti di fiumiciattoli sulle cui sponde resistono incliti della generazione “di prima” che hanno atteso cadaveri di “quelli di dopo”: delle loro carcasse di presuntuosi, digiuni di alte statualità; di barbari incolti di politiche pubbliche; di “sans papier” intellettuali; i quali – solito destino, cinico e baro – invece si muovono oggi vivi e ritti d’orgoglio sulla nave ammiraglia del centrodestra italiano. Magari per averci creduto, quando altri no. Il che non é poco: é un merito. Al netto dell’improvvida “ybris” e di difficili mea culpa, comunque si capirà, un giorno, che “torti” e “ragioni” sono più prossimi di quanto si veda; che i colpi falliti sono un tutt’uno con quelli andati a segno. Adesso, la riflessione da aprire é: si può alla vigilia di un appuntamento elettorale che può portare Giorgia Meloni, erede di una storia politica e umana, alla guida dell’Italia, fare uno sforzo di ricomposizione dei segmenti della destra, dispersi o renitenti? O indifferenti e financo altrove collocati? Si può provare, almeno, per la difesa di valori, che in questi giorni sono denigrati e dolosamente fraintesi?

 Sì alla chiamata della storia comune

Può ciascuno, toccato da vicino o da lontano, da questo evento che agita l’agenda pubblica italiana ed europea, dare un contributo gratuito a questo obiettivo ? Si possono – senza nulla chiedere – consegnare, le esitazioni soggettive a un cantiere che ha bisogno di tutti, prima e dopo ? É un appello ? A suo modo, sì: a partire dalla “chiamata” ai singoli che hanno avuto ruoli, anche di primo piano, nelle istituzioni e grande appeal nella società civile: la loro parola dia input e sostegni. Soprattutto nel diradare la cortina di dubbi reali e strumentali, artefatte provocazioni, mai viste aggressioni mediatiche a una persona – a una donna – e a una storia collettiva. Lo si può fare con gratuità, come dovere verso se stessi e verso l’Italia, ancor prima e più che verso una leader politica, che pezzi di establishement “contro”, dentro e oltre i confini, non vogliono a capo del governo della Nazione ? Si vuole farlo, ricevendo il compenso nel solo dono di farlo? Si può tornare, tutti anche solo per questo momento, a un’Itaca comune, a un’isola mentale e culturale – magari idealizzata e mitica – dei “simili” a te? Si può muovere un passo verso il territorio politico oggi più vicino ? Meno distante, se vuoi. Che non è il tuo, come lo fu un tempo; ma è quel cosmo vitale con cui hai, frammenti di progetto e di affinità elettive. E memorie condivise: incluse polemiche non sopìte e confliggenti passioni. Si può fare? Io credo di sì. Aiuterebbe la destra che c’è. E il compito a cui é chiamata. Ma anche la sua storia da tanti abitata. E, sopra tutto, la correttezza di una competizione bipolare e il fluire legittimo e della democrazia politica che deve nutrirsi del presente; e deve ripulirsi dall’uso improprio degli spettri del passato. Sottrarsi alla chiamata, per apparenti o reali ragioni, sarebbe un errore. Ci dice il poeta della “Cittadella”: “Viene l’ora in cui le cose passate, prendono il loro vero significato, quello di farti divenire”. Eccola.

Commenti

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  • Giuseppe Brini 5 Agosto 2022

    Schierarsi a favore di Giorgia è doveroso per non fare abortire il sogno di vedere la fiamma tricolore simbolo di una donna presidente del consiglio.
    Ognuno resterà con le sue idee non collimanti ( ad es. in politica estera) ma DOPO si sentirà meno straniero in patria .
    Patria appunto parola che la Meloni ha riportato in auge. L

  • Salvatore Torre 5 Agosto 2022

    Articolo di altissimo valore per riconoscere e raggiungere questa mitica Itaca comune!

  • Paolo Girardi 5 Agosto 2022

    Apertura un po’ tardiva ma comunque significativa. Valida se potrà proseguire anche dopo l’imminente battaglia elettorale. Mi sembra un seme ben gettato.