M5S, tra Di Maio e Conte è solo sceneggiata: la scissione conviene a entrambi. Ecco perché

18 Giu 2022 9:05 - di Michele Pezza
Di Maio

Se l’uno è un «Di Battista in pochette», all’altro ben s’attaglierebbe la definizione di “Forlani ringiovanito“. Comunque sia, la metamorfosi è compiuta. E se è strano vedere un ex-premier come Giuseppe Conte nelle vesti del barricadiero, lo è altrettanto sentire un ex-capo grillino come Luigi Di Maio recriminare conto la deriva da «partito dell’odio» del M5S. Giuseppi e Giggino sono ormai due galli nel medesimo pollaio: incompatibili. Uno dei due dovrà lasciare. E non è detto che sia un male, anzi. Se – come sembra – la materia del contendere riguarda il nodo del doppio mandato (resta fuori dalle liste chi ha già due elezioni, tipo Di Maio), una scissione converrebbe ad entrambi: al ministro degli Esteri, che potrebbe ricandidarsi; a Conte, che si doterebbe di gruppi parlamentari a propria immagine e somiglianza.

Di Maio vuole ricandidarsi per la terza  volta

La scissione non sarebbe una iattura neppure per i cespugli dei vari Calenda e Renzi, dichiaratisi incompatibili con il M5S. Lo sarebbero ugualmente con quello che Di Maio potrebbe far nascere sotto il segno di Mario Draghi? Probabilmente, no. A ben guardare, l’unico che potrebbe ricevere un mezzo danno dalla spaccatura dei 5Stelle è Enrico Letta, che dovrebbe accontentarsi di accogliere nel campo largo la sigla presumibilmente con meno appeal presso l’elettorato, cioè quella del ministro degli Esteri. Bene o male i sondaggi accreditano il M5S di percentuali a due cifre. Quanti voti potrebbe  strappargli Di Maio? Pochi, prevedibilmente.

La preoccupazione di Letta

Le sue posizioni hanno presa sui gruppi parlamentari perché garantiscono lo status quo, ma non presso l’elettorato pentastellato. L’involuzione (o evoluzione) “forlaniana” del ministro degli Esteri trova approvazione solo nel Palazzo e nell’establishment e non anche tra i militanti. Letta lo sa bene. Per questo è l’unico che tifa apertamente per una ricucitura ormai impossibile. A preoccuparlo non è solo il fatto che a entrare nel campo largo sarebbe la sigla elettoralmente più anemica, quella di Di Maio, ma anche il sospetto è che un M5S radicalizzato da Conte potrebbe diventare sirena delle formazioni a sinistra del Pd. Già, è tutto da dimostrare che tra un «Di Battista con la pochette» e un «Forlani ringiovanito», Leu, Articolo 1 e Verdi si alleerebbero con il secondo e non con il primo.

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