A cento anni dalla Marcia su Roma chiediamoci se può sopravvivere lo spauracchio del fascismo eterno
21 Giu 2022 15:46 - di Francesco Severini
Se ne occupa Giovanni Belardelli sul Foglio e scrive che sarebbe il caso di occuparsi “del tema che forse è il più rilevante, almeno se consideriamo il fascismo in relazione alla storia dell’Italia repubblicana, e certamente il meno studiato: la sua lunga vita postuma, la straordinaria capacità di sopravvivere alla rovinosa fine del 1945.
Non mi riferisco a certe frange di estrema destra rimaste sempre minoritarie, bensì al fatto che per vari decenni – dunque per un periodo ben più lungo del fatidico “ventennio” – il fascismo ha occupato uno spazio rilevante nel nostro discorso pubblico, come denuncia del pericolo di un suo ritorno se non addirittura come critica di qualcosa che non era mai veramente scomparso”.
Non mi riferisco a certe frange di estrema destra rimaste sempre minoritarie, bensì al fatto che per vari decenni – dunque per un periodo ben più lungo del fatidico “ventennio” – il fascismo ha occupato uno spazio rilevante nel nostro discorso pubblico, come denuncia del pericolo di un suo ritorno se non addirittura come critica di qualcosa che non era mai veramente scomparso”.
Belardelli ricorda che per Palmiro Togliatti il fascismo sarebbe scomparso con la scomparsa del sistema economico capitalistico. “Non potendo vantare credibili credenziali democratiche – scrive Belardelli – il Pci staliniano cercava di sostituirvi quelle antifasciste. Oggi è (quasi) generalmente riconosciuto che non tutti gli antifascisti erano democratici; il Pci, invece, si attribuiva la facoltà di stabilire quali democratici fossero davvero antifascisti e quali no; ove fossero su posizioni anticomuniste, venivano immediatamente bollati come fiancheggiatori di un fascismo di ritorno”.
E’ in questo modo che l’argomento del pericolo fascista diviene arma dialettica da scagliare contro l’avversario. “Perfino molti storici – continua Belardelli – si allinearono diligentemente alla denuncia del pericolo fascista, nonostante tale denuncia – negando ogni storicizzazione del fenomeno – venisse per ciò stesso a negare i fondamenti della loro professione”. Questo atteggiamento è sopravvissuto al fascismo divenendo inerente alla pratica antifascista come tentativo di delegittimare l’avversario. Lo si è visto da ultimo con Silvio Berlusconi e poi ancora con Matteo Salvini. Per non dire delle accuse contro Giorgia Meloni.
Ma “il paradigma del fascismo in agguato”, avverte Belardelli, è come un limone troppo spremuto. “Sembra ormai aver esaurito qualunque ulteriore possibilità di utilizzazione. Ma non è detta l’ultima parola”. Sarebbe il caso di interrogarsi in merito in occasione di un centenario che non è bene lasciare nelle mani di qualche sparuta truppa di nostalgici.