Pugni chiusi e Internazionale: il “Mondo nuovo” di Speranza si chiude in un tripudio nostalgico
Tra pugni chiusi e note dell’Internazionale socialista si è concluso il “Mondo nuovo” di Roberto Speranza e compagni di Articolo Uno. Al termine del congresso del suo partitino le parole stridenti del ministro della Salute: «Penso davvero che questa piccola comunità possa essere ancora protagonista del percorso di cambiamento dell’Italia». Alla faccia del cambiamento, del futuro, del riformismo, è seguita la “colonna sonora” conclusiva delle kermesse: più un cineforum anni Settanta che l’iconografia di un partito del 2022.
E hanno il coraggio di chiamarlo “Mondo nuovo”
Ecco come i compagni di Articolo Uno interpretano il cambiamento. Dapprima, «Bella Ciao» nella versione folk-rock dei Modena City Ramblers. Poi all’ Antonianum della Capitale parte L’Internazionale, l’inno il brano del socialismo, che fu fu l’inno ufficiale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. A descrivere il clima “modernista” della convention di Articolo 1 è Giovanni Sallusti su Libero. Nella versione italiana dell’Internazionale risuonano parole come «Compagni avanti, il gran Partito noi siamo dei lavoratori». Ritornelli “vintage” come «Lottiam, lottiam, la terra sia di tutti eguale proprietà».
Articolo 1, Speranza e compagni tra passato e trapassato
A distanza di cinque anni dalla scissione dal Partito democratico del 2017, l’ex sinistra dem di Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza si è dichiarata pronta riunirsi alla casa madre del Nazzareno a una condizione: il riavvicinamento non potrà tradursi in un ritorno al passato. Preferiscono il trapassato. E il clima è quello: delegati entusiasti, applausi e pugni chiusi: “Il gesto che rimanda direttamente, senza edulcorazioni o modernismi ipocriti di sorta, alla più grande macchina sterminatrice del Novecento, il comunismo”, postilla Sallusti: Speranza e compagni hanno avuto il coraggio di intitolare “Mondo nuovo” questa convention che ha inneggiato al trapassato remoto che più remoto non si potrebbe. “O giovani-vecchi come lui, residuati di una guerra fredda che non hanno vissuto, possono tranquillamente rivendicare pubblicamente l’iconografia, le ritualità, i gesti del comunismo più puro ed esplicito”, conclude amaramente l’editorialista.