Covid, lo studio: «I vaccini efficaci contro tutte le varianti, anche dopo 6 mesi»

14 Feb 2022 13:17 - di Redazione
vaccini varianti

Le varianti non riescono a “bucare” la protezione dei vaccini anti-Covid, che continuano a farci scudo contro il virus anche dopo 6 mesi. È quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Cell da un team di ricerca de “La Jolla Institute for Immunology”, guidato da Alessandro Sette, dell’Università della California a San Diego, in collaborazione con il gruppo guidato da Gilberto Filaci, direttore dell’Unità di Bioterapie dell’Irccs del San Martino di Genova e ordinario di Scienze tecniche di medicina e di laboratorio dell’Università di Genova. Lo studio mostra che lo scudo immunitario, a sei mesi dal vaccino, resta in media pari a circa l’87-90% e scende appena all’84-85% soltanto per Omicron, mantenendo dunque elevata la risposta contro tutte le mutazioni.

Il ruolo delle cellule T e della dose booster

In particolare, la ricerca ha evidenziato come i vaccini, oltre agli anticorpi, stimolano la formazione di cellule T di memoria che sanno “smascherare” e combattere il virus anche quando cambia faccia grazie alle mutazioni. Queste cellule, capaci di riaccendere in tempi brevissimi la risposta immunitaria, sono la chiave per una protezione immunitaria di lunga durata dalle forme gravi di malattia. «Lo studio consente di prevedere – ha spiegato Filaci – che l’immunità indotta dai vaccini sia molto prolungata oltre che probabilmente efficace anche contro le varianti future. La dose booster si conferma come il metodo migliore per “richiamare alla lotta” altre cellule T di memoria, rafforzando la nostra linea di difesa contro il virus».

La memoria immunitaria genera un «doppio scudo»

«Queste cellule – ha chiarito Filaci – sono come sentinelle perenni capaci di riconoscere un nemico dopo anni e anni dal primo incontro e di montare in brevissimo tempo una risposta immunitaria che riattiva la produzione di anticorpi specifici: quelli che poi si legano al virus prevenendo o risolvendo l’infezione. Così, le cellule T specifiche “di memoria”, che si formano dopo essere venuti in contatto con un germe, per contagio o tramite la vaccinazione, perdurano in circolo proteggendoci da esso tutte le volte che lo incontriamo: fanno ciò anche attraverso la immediata riattivazione della risposta anticorpale, generando, quindi, una sorta di “doppio scudo” immunologico, fondamentale per una protezione di lunga durata».

Lo studio su persone vaccinate con differenti sieri

Lo studio, che trova rispondenza in altre ricerche simili, ha analizzato la risposta delle cellule T, dimostrando che riconoscono tutte le dieci diverse varianti emerse negli ultimi mesi, Omicron compresa, e restano capaci di dare una risposta immunitaria efficace anche a 6 mesi di distanza dalla vaccinazione. Analizzando le cellule T di persone vaccinate con 4 differenti vaccini (Pfizer-BioNTech, Moderna, Johnson & Johnson/Janssen e Novavax), i ricercatori hanno osservato che la reattività delle cellule T a sei mesi è infatti in media dell’87-90% rispetto a quella iniziale post-vaccinale e scende appena all’84-85% contro Omicron, indipendentemente dal vaccino ricevuto.

Una immunità «duratura e significativa»

«L’immunità indotta dalle cellule T è perciò duratura e significativa contro tutte le varianti note e non viene “bucata” neppure da Omicron» – spiega ancora Filaci – Quando una persona vaccinata viene a contatto con il virus, anche a mesi di distanza dalla vaccinazione, i linfociti T stimolano rapidamente i linfociti B, capaci di riconoscere e uccidere le cellule infettate dal virus, a produrre anticorpi specifici: in questo modo si crea un “doppio scudo” al virus pressoché immediato e l’infezione viene prontamente combattuta e debellata in tempi molto più rapidi e con un’efficacia molto maggiore rispetto a quanto possa accadere nei non vaccinati. Anche per questo i vaccinati, pur potendo ancora infettarsi, hanno generalmente forme lievi o addirittura asintomatiche dell’infezione».

«È plausibile che i vaccini frenino anche le future varianti»

«È infine plausibile che il vaccino possa “frenare” anche le future varianti: lo studio ha rilevato che le cellule T di ogni individuo vaccinato riconoscono in media una ventina di pezzetti diversi del virus, generando una risposta immunitaria ridondante, cioè diretta contro più di un frammento della proteina spike e ciò rende meno probabile, che il virus generi future varianti in ciascuno di questi venti pezzettini di molecola, tali da renderlo totalmente irriconoscibile alle cellule T».

 

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