Ravanusa, il drammatico racconto: «Così abbiamo detto a un ragazzo che in quel sacco c’era il papà»
La tragedia di Ravanusa? «È stata dura. È sempre difficile, ma è il nostro mestiere. Il momento più complicato è stato quando siamo arrivati sul luogo dell’esplosione e avevano appena estratto i primi tre cadaveri e i familiari erano lì. Attoniti, increduli, disperati, gridavano per i dolore. Erano in crisi profonda». A parlare con l’Adnkronos è Giuseppe Infurchia, che coordina l’équipe degli psicologi dell’Asp di Agrigento. Oltre venti professionisti mandati dall’Asp e che si danno il turno per assistere i familiari delle vittime, ma anche gli sfollati della tragedia di Ravanusa. Oltre cento persone rimaste senza casa dopo la deflagrazione avvenuta sabato sera in via Trilussa a Ravanusa.
Ravanusa, la testimonianza dello psicologo
Un altro momento “molto duro e difficile” è stato quando Infurchia ha dovuto dire a un giovane che nel sacco a pochi metri da loro c’era il corpo senza vita del padre. «Era appena arrivato da Milano dove lavora – racconta Infurchia – Ha visto la sua casa crollata. E i suoi genitori sotto le macerie. Aspettava che trovassero i genitori. Ma non sapeva che il corpo del padre era lì a due passi, in un sacco nero. Era uno dei tre cadaveri appena estratti. Nessuno aveva il coraggio di dirgli che lì dentro c’era il padre a cui era molto legato. Noi abbiamo lavorato su come informare e contenere il dolore straziante di questa persona».
Istituita una rete familiare con i parenti
Gli psicologi dell’Asp hanno anche istituito una rete familiare con i parenti. «Poi abbiamo comunicato tutto a quel giovane, che era straziato dal dolore, gli siamo stati vicini tutto il giorno». «All’indomani è stata estratta anche la mamma – racconta ancora Infurchia – e lui ha dovuto fare il riconoscimento formale, siamo andati insieme. L’ho accompagnato. Sono sempre momenti difficili. Anche da spiegare». Ma come reagiscono i familiari di una vittima quando vedono arrivare una persona estranea, che dice di volere aiutare? «Ci sono due momenti – spiega Infurchia – il primo impatto è quando a una persona arriva una notizia tragica, e non vuole nessuno, né lo psicologo né il prete. Come ha fatto all’inizio questo ragazzo, che ci ha mandato a quel paese. Poi, passato l’impatto, con molta discrezione, il giovane ha contenuto il suo dolore. Successivamente si instaura un contatto, e condividono il loro dolore. Noi abbiamo una strategia».
Ravanusa, a fianco degli sfollati
Lo stesso accade per gli sfollati. «Siamo stati insieme con un po’ di famiglie che hanno perso tutto. Una signora ci ha detto: “È vero, abbiamo salva la vita, ma abbiamo perso tutto quello che avevamo. Tutto. Dall’oggi al domani”». «Non hanno più nulla – dice Infurchia all’Adnkronos – per ora c’è la solidarietà sociale, ma dopo cosa accadrà? Devono reinventarsi una loro identità, e in questo momento è importante. È importante la solidarietà della comunità civile, l’abbiamo rilevata, nel comune. C’è un buon coordinamento. Abbiamo allertato tutti i nostri servizi, di primo intervento, gli ospedali». «L’azienda Asp di Agrigento è stata molto sensibile – dice ancora lo psicologo – ha inviato una ventina di psicologi, che servono le per turnazioni. Prima viene l’emergenza e poi il resto». Con Infurchia collabora anche Filippo Sciacca, deputato per l’emergenza psicologica. «Insieme – dice Infurchia – stiamo coordinando gli interventi psicologici».
Come funziona il Nucleo di psicologi dell’Asp
Ma come funziona il Nucleo di psicologi dell’Asp? «Lavoriamo in sinergia anche con la Protezione civile e la Croce rossa, e con altre associazione di volontariato», dice. «Siamo intervenuti subito dopo l’esplosione e ci siamo raccordati con la Protezione civile. Abbiamo un buon rapporto di collaborazione e scambio di professionalità». «Dobbiamo curare anche i post traumatici con interventi riabilitativi e tutto quello che riguarda l’operatività della salute – continua – Noi siamo presenti h24, in collaborazione con questi enti di Protezione civile. Il nostro intervento è duplice: per l’emergenza e poi per la pianificazione degli interventi successivamente per curare ferite profonde e dolorose. Come quelle che hanno subito i familiari delle vittime di Ravanusa ma anche gli sfollati».