L’assessore di Sala cambia la targa in “assessora”: femministe e Boldrini in brodo di giuggiole
Per le femministe di sinistra le parole contano, tanto da perdersi in sterili battaglie ideologiche sulle lettere. L’ultima “conquista” letteraria è stata fatta da Gaia Romani, la più giovane della giunta Sala che ha sostituito la targa del suo ufficio: da “assessore” ad “assessora”. Con tanto di foto social in cui fa vedere la sostituzione della targa con il nome al femminile. E scrive: «Ho chiesto di sostituire la targa sulla porta del mio ufficio perché il cambiamento parte dalle piccole azioni. È un messaggio a cui tengo molto e quindi eccoci qui, pezzo per pezzo. La battaglia linguistica non viene mai colta come una priorità. Io invece credo sia il punto di partenza per un reale processo di inclusione».
L’assessore della giunta Sala cambia la targa: in “assessora”
E aggiunge: «Si tratta di un’azione corretta dal punto di vista grammaticale, che smonta lo schema di una società in cui a ricoprire certi ruoli erano soltanto gli uomini. E se c’è ancora qualcuno che mi prende in giro per questo, significa che sono sulla strada giusta». Immancabili sono arrivati i commenti di plauso delle femministe dem più accese alla Romani, da Laura Boldrini: «Brava Gaia, il linguaggio è sostanza». All’ex assessore alle politiche sociali Cristina Tajani: «Brava, la delibera sul linguaggio inclusivo non è stata vana!!». Fino alla deputata Stefania Pezzopane, che ha voluto dedicare un simbolico applauso social all’assessora meneghina.
Il plauso politicamente corretto delle femministe “d’antan”. Boldrini alla Pezzopane entusiaste
Non c’è niente da fare, la battaglia contro la grammatica diventa priorità essenziale per i democratici, riducendo e depotenziando gli argomenti concreti come le discriminazioni, le violenze e il lavoro. Al contrario per la sinistra è più proficuo perdersi nel politicamente corretto della linguistica per dare un segnale vacuo di rivoluzione culturale.
Eppure, l’Accademia della Crusca sulla desinenza neutra…
Proprio in questi giorni in ambito linguistico anche l’Accademia della Crusca si è espressa contro lo schwa, la desinenza neutra che i fanatici dell’inclusività vorrebbero utilizzare al posto di quella maschile in favore delle identità non binarie. La linguista Cecilia Robustelli ha affermato: «Inaccettabile. È impossibile o confusionaria la comunicazione. La grammatica non può essere non-binaria, il genere grammaticale viene assegnato ai termini che si riferiscono agli esseri umani in base al sesso. Il genere “socioculturale”, cioè la costruzione, la percezione sociale di ciò che comporta l’appartenenza sessuale, rappresenta un passaggio successivo». Una sonora lezione alla Murgia che ne ha fatto una sua bandiera.
La banalizzazione della lotta alle discriminazione… con gli asterischi
Così come gli asterischi, diventati un caso e simbolo delle conquiste democratiche al liceo Cavour, e adottati nelle comunicazioni ufficiali per non creare discriminazioni di genere: decisione adottata dall’intero consiglio d’istituto. Se la grammatica diventa l’unica discussione, via la “e”, dentro la “a”. Cambio di targa. Se queste rappresentano le battaglie culturali di donne che vogliono imprimere un cambiamento nella società, c’è una rischiosissima banalizzazione e lassismo nel dare enfasi a lettere e non cercare invece di guadagnare con il merito e la capacità il proprio ruolo.
Femministe di sinistra, per loro la rivoluzione culturale passa per le ideologie semantiche
Quella targa avrebbe ragione d’essere se riconosciuto valore acquisito non per cambio di una parola. È deludente pensare che ideologie semantiche possano fare rivoluzioni culturali. Il rispetto e la qualità del percorso di una persona deve essere legato a ciò che concretamente crea, non è il messaggio superficiale, quanto il contenuto che dovrebbe passare. Più di ogni targa con cambio di lettere c’è da augurarsi che quell’assessore sia capace di svolgere al meglio la propria funzione per il bene comune e nelle priorità concrete. Non soffermandosi a scegliere il nominativo politicamente corretto da apporre all’ingresso.