Alemanno «fu condannato senza prove»: le motivazioni dell’assoluzione fanno venire i brividi

9 Nov 2021 14:54 - di Viola Longo
alemanno

La Cassazione ha pubblicato le motivazioni della sentenza di assoluzione di Gianni Alemanno dall’accusa di corruzione. In sostanza, gli ermellini hanno chiarito che l’ex sindaco di Roma fu condannato senza uno straccio di prova. E sono così netti nel sottolinearlo e nel sottolineare le «gravi carenze del ragionamento» dei giudici di primo e secondo grado da alimentare, certo involontariamente, un sospetto che in molti era circolato ai tempi delle condanne, ovvero che quelle contro Alemanno fossero sentenze a “tesi”. «Nella sentenza di primo grado e in quella di appello risulta del tutto vago e indimostrato quale sia stato il ruolo di Alemanno nella vicenda illecita della gara n. 18/11 indetta da Ama», scrivono gli ermellini, che invece l’ex sindaco della Capitale l’8 luglio scorso lo hanno assolto dall’accusa di corruzione con formula piena, al termine però di un calvario giudiziario durato sette anni.

Nessuna prova a carico di Alemanno

La lettura delle motivazioni dell’assoluzione di Alemanno offre così uno spaccato inquietante di cosa può accadere nelle maglie della giustizia italiana, tanto più perché a delinearlo sono altri giudici. «La sentenza di appello, a fronte delle censure difensive che avevano lamentato la mancata dimostrazione della partecipazione del ricorrente al patto illecito di Buzzi e Panzironi per l’alterazione della gara – scrive la Cassazione – si è limitata ad indicare quale prova a suo carico i bonifici fatti da Buzzi alla Fondazione Nuova Italia (legata all’ex sindaco, ndr.) in prossimità della aggiudicazione della gara (risalente al 5 dicembre 2012)».

Dai giudici di primo e secondo grado un «ragionamento gravemente carente»

«Tale ragionamento – sottolineano i supremi giudici – è gravemente carente e il Collegio ritiene che gli atti descritti in sentenza non siano tali da fornire, al di là di ogni ragionevole dubbio, la prova della partecipazione» di Alemanno «al reato contestato». In particolare, si legge nella sentenza, «doveva essere dimostrato che l’unica condotta in definitiva ascrivibile» all’ex sindaco «nella vicenda in esame (la delega di poteri di fatto a Panzironi in Ama) fosse stata non solo strettamente correlata all’alterazione della gara n.18/11 in favore di Buzzi, ma anche retribuita con la dazione in denaro».

Alemanno «non disponibile a mediazioni illecite»

«Elementi», sottolineano ancora i giudici della Cassazione, che «non sono in alcun modo esplicitati nel percorso motivazionale della sentenza, che ha ricollegato in termini del tutto generici il comportamento» dell’ex sindaco (la delega di poteri a Panzironi) «tanto alla alterazione della gara quanto alle somme ricevute attraverso la Fondazione». «Se da un lato è emersa in questo procedimento la generica e permanente disponibilità dei privati a ricercare e retribuire economicamente l’intervento di mediazione illecita» di Gianni Alemanno, «dall’altro non vi sono elementi per ravvisare la medesima permanente disponibilità da parte di quest’ultimo ad intercedere all’occorrenza per interessi del privato sull’attività della P.a».

 

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