Si lamenta del capo su Facebook: per la Cassazione è legittimo il licenziamento per “insubordinazione”
È legittimo il licenziamento del dipendente che ha pubblicato plurimi insulti ai suoi capi sulla propria pagina Facebook. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 27939 depositata il 13 ottobre 2021.
I giudici della Sezione Lavoro hanno respinto il ricorso di un account manager di una grande azienda di telecomunicazioni. Confermata dunque la decisione della Corte di Appello di Roma che nel novembre 2018, aveva respinto il ricorso contro il licenziamento “per giusta causa” di un addetto alla “Gestione della comunicazione pubblicitaria nazionale ad uso locale” (insegne della grande distribuzione, eventi, promozione locale dei negozi).
Alcuni post sulla sua pagina Facebook
Nel dettaglio, il licenziamento disciplinare era stato comminato in considerazione del contenuto gravemente offensivo e sprezzante, nei confronti dei diretti superiori e dei vertici della società datrice, di alcuni messaggi che il lavoratore aveva diffuso a mezzo di tre e-mail e sul suo profilo Facebook.
Nel ricorso, il dipendente aveva sostenuto, tra l’altro, l’illegittima acquisizione dei post riservati agli amici. La sentenza smonta però questa interpretazione. «Premessa l’esigenza di tutela della libertà e segretezza dei messaggi scambiati in una chat privata, nella fattispecie non sussiste una tale esigenza di protezione di un commento offensivo nei confronti della società datrice di lavoro diffuso su Facebook». «Il mezzo utilizzato (pubblicazione dei post sul profilo personale del detto social) – prosegue la Cassazione – è, infatti, idoneo (secondo l’accertamento della Corte territoriale), a determinare la circolazione del messaggio tra un gruppo indeterminato di persone».
La Cassazione: “Se il post è su Facebook è sempre pubblico”
La Corte di Cassazione ha ricordato sostanzialmente che la nozione di “insubordinazione” deve essere intesa in senso ampio. Nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, non può essere limitata al rifiuto del lavoratore di adempiere alle disposizioni dei superiori ma implica necessariamente anche qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione e il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro della organizzazione aziendale