Miozzo ammette: la pandemia? Uno tsunami, ce la siamo cavata all’italiana. Ma eravamo impreparati
RedaÈ un bilancio onesto, che sfiora l’amarezza, quello che Agostino Miozzo, coordinatore del primo Comitato Tecnico-Scientifico, stila sulla pandemia. E, soprattutto, sul modo in cui si è affrontata nella sfera di governo. Un bilancio in cui, nell’asciuttezza delle dichiarazioni che lo delineano, Miozzo propone una riflessione sull’esperienza del primo Cts, riletta però con lo sguardo rivolto al futuro… E allora, di fronte alla pandemia di Covid, «ce la siamo cavata bene, ma all’italiana», afferma l’esperto, ospite di un webinar promosso da Altems Università Cattolica su “scienza e politica nella lotta contro la pandemia”. «Perché – aggiunge poi a stretto giro – eravamo assolutamente impreparati».
Il bilancio di Miozzo, coordinatore del primo Cts, sulla pandemia
E ancora. «Ce la siamo cavata – prosegue Miozzo – perché abbiamo una sorta di naturale resilienza. Perché viviamo ormai da secoli in un contesto emergenziale,. E siamo abituati ad adattarci al contesto in cui ci troviamo. Anche se questo contesto ci ha colpito in maniera devastante. Si può quindi solo dire che siamo sopravvissuti bene». Una riflessione, quella dell’esperto, scevra da compiacimenti di sorta e da vani giustificazionismi. E che porta Miozzo a definire gli italiani come persone «geneticamente resilienti». Perché, spiega infatti l’esperto, a sostegno delle sue argomentazioni, «se nasci in una periferia romana di quelle dure. O nel rione Sanità di Napoli, o allo Zen di Palermo, qualunque difficoltà ti si pari di fronte genera in te quella capacità di risposta intrinseca. Siamo una popolazione preparata a rispondere. E ad adattarsi».
«Eravamo soli noi del Cts, con una sorta di mega cerino in mano»
E invece, sulla moltiplicazione di esperti e addetti ai lavori specializzati, Miozzo commenta: «Comincio a vedere troppi professori del senno del poi. Ma nel momento in cui abbiamo cominciato a lavorare, eravamo soli noi del Cts, con una sorta di mega cerino in mano. Con la responsabilità di decidere della vita e della morte delle persone». Non a caso, aggiunge: «Io ho chiesto una tutela istituzionale per i componenti del Cts, e ci è stata data grazie a un provvedimento normativo. Proprio perché avevo già visto troppe volte i professori del senno del poi giudicare situazioni critiche in contesto, dopo mesi e anni». Tempi «in cui perdi contezza del pathos emergenziale e dello stress vissuto giorno e notte. Delle telefonate. Delle persone che morivano – elenca Miozzo –. Dell’ossigeno che mancava. Degli infermieri senza mascherine. E dei medici che mettevano la sciarpa» per proteggersi in mancanza d’altro. Istanti, momenti difficili, in cui «si doveva decidere su due piedi «se una marca di respiratori con una scritta in cinese fosse accettabile o no».
«Mancava tutto, specie la certezza nel decidere… Nessuno era preparato»
«Mancava certezza persino sul distanziamento: un metro, due o tre? Ci mancavano elementi di certezza, e quando definisci un metro o 3 cambi la sorte e la vita delle persone», sottolinea l’esperto. Che poi, tirando le somme, conclude: «La pandemia ha scoperchiato un mondo devastato dall’incuria di decenni di trascuratezza politica. Questo tsunami virale ha impattato soprattutto su istituzioni deficitarie. Impreparate perché storicamente tali. Ha messo in evidenza i mali del sistema e le debolezze. Nella società. Della scuola. Nei trasporti. Nessuno era preparato in Italia e in altre parti del mondo. Benché si parlasse da decenni di pandemie, non eravamo culturalmente preparati»...