Visin Seid suicida per razzismo? I genitori smentiscono: “Lettera vecchia, altri i motivi”

5 Giu 2021 16:13 - di Guido Liberati

Il suicidio di Visin Seid, ex calciatore delle giovanili del Milan, ha sconvolto non solo il mondo del calcio, ma tiene banco anche nel dibattito politico. Anche il segretario dem, Enrico Letta, ha riservato un pensiero al ventenne di origine etiope, che si è impiccato nella sua casa di Nocera Inferiore, dove viveva con i genitori.

Gli stessi genitori hanno smentito le strumentalizzazioni di queste ore. “Il gesto estremo di Seid non deriva da episodi di razzismo”.  Dunque, i familiari smentiscono la tesi circolata in queste ore su un possibile collegamento tra il drammatico suicidio del figlio e ciò che lui, tre anni fa, ha denunciato sui social.

A scatenare i commenti politici sulla morte del giovane ex calciatore, è stato un post su Facebook della dottoressa Rita D’Antuono, una psicoterapeuta di Nocera Inferiore che da alcuni anni aveva in cura Visin Seid.

La sua psicoterapeuta ha pubblicato una lettera di 30 mesi fa

All’indomani della notizia del suicidio del suo paziente, la psicologa ha postato immediatamente sui Social un post che il ragazzo aveva scritto nel 2019 su Facebook. Non un messaggio d’addio, né una lettera scritta nell’imminenza del suicidio, come pubblicato erroneamente su alcuni siti. Un messaggio, tra i tanti, scritto 30 mesi fa, prima ancora del lockdown che ha destabilizzato tante vite, non solo quelle delle persone più fragili.

Quello che scrive Seid nella lettera è diventato rapidamente virale. La pubblichiamo integralmente alla fine di questo articolo, solo perché la professionista che lo aveva in cura ha deciso deliberatamente di condividere quel vecchio post tra i tanti.  C’è da dire pure che, sulla stessa pagina Fb dove ha pubblicato il post del suo paziente, la psicologa campana ha ostentato la sue spiccate simpatie per l’estrema sinistra (Potere al Popolo) e una sfrenata ostilità contro Salvini e Meloni. Quindi, che abbia scelto proprio quel post del giovane suicida, non appare casuale.

“Visin Seid ha vissuto un’infanzia difficilissima”

Sul giovane ragazzo etiope, emerge in queste ore un’altra testimonianza toccante. Lascia intuire la straordinaria sensibilità del ragazzo. Ecco cosa diceva di lui, nel 2016, uno dei suoi talent scout, Stefano Cirillo, allenatore professionista, responsabile di una scuola calcio e del progetto tecnico della società “ViesseSport”.

“Visin Seid è arrivato in Italia all’età di 7 anni dall’Etiopia ed è stato adottato da una famiglia di Nocera Inferiore, papà Walter e mamma Maddalena. Quando Seid aveva 9 anni, dopo averlo visto giocare, lo abbiamo subito inserito nella nostra scuola calcio e ricordo che per tre anni ha effettuato il tragitto Nocera-Torre Annunziata quasi tutti i giorni. L’Inter aveva opzionato Seid sin dall’età di 11 anni ma, al compimento dei 14, lo abbiamo dato al Milan in quanto i nerazzurri avevano titubato un po’ anche per via dell’ingresso di Thohir in società che ne ha rallentato la trattativa. Quella di Vesin Seid è veramente una storia da raccontare in quanto in Etiopia il ragazzo ha vissuto un’infanzia difficilissima e, una volta in Italia, è stato prima amato e coccolato dalla famiglia di Nocera e poi acquistato dal Milan che rappresenta uno dei club più titolati al mondo”.

La lettera scritta da Visin Seid nel gennaio 2019

“Dinanzi a questo scenario socio-politico particolare che aleggia in Italia, io, in quanto persona nera, inevitabilmente mi sento chiamato in questione.
Io non sono un immigrato.
Sono stato adottato quando ero piccolo.
Prima di questo grande flusso migratorio ricordo con un po’ di arroganza che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, ovunque mi trovassi, tutti si rivolgevano a me con grande gioia, rispetto e curiosità. Adesso, invece, questa atmosfera di pace idilliaca sembra così lontana; sembra che misticamente si sia capovolto tutto, sembra ai miei occhi piombato l’inverno con estrema irruenza e veemenza, senza preavviso, durante una giornata serena di primavera. Adesso, ovunque io vada, ovunque io sia, ovunque mi trovi sento sulle mie spalle, come un macigno, il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone.
Qualche mese fa ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, prevalentemente anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non bastasse, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche la responsabilità del fatto che molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro.
Dopo questa esperienza dentro di me é cambiato qualcosa: come se nella mia testa si fossero creati degli automatismi inconsci e per mezzo dei quali apparivo in pubblico, nella società diverso da quel che sono realmente; come se mi vergognassi di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato, come se dovessi dimostrare alle persone, che non mi conoscevano, che ero come loro, che ero italiano, che ero bianco.
Il che, quando stavo con i miei amici, mi portava a fare battute di pessimo gusto sui neri e sugli immigrati, addirittura con un’aria troneggiante affermavo che ero razzista verso i neri, come a voler affermare, come a voler sottolineare che io non ero uno di quelli, che io non ero un immigrato. L’unica cosa di troneggiante però, l’unica cosa comprensibile nel mio modo di fare era la paura.
La paura per l’odio che vedevo negli occhi della gente verso gli immigrati, la paura per il disprezzo che sentivo nella bocca della gente, persino dai miei parenti che invocavano costantemente con malinconia Mussolini e chiamavano “Capitano Salvini”. La delusione nel vedere alcuni amici (non so se posso più definirli tali) che quando mi vedono intonano all’unisono il coro ”Casa Pound”.
L’altro giorno, mi raccontava un amico, anch’egli adottato, che un po’ di tempo fa mentre giocava a calcio felice e spensierato con i suoi amici, delle signore si sono avvicinate a lui dicendogli: ”goditi questo tuo tempo, perché tra un po’ verranno a prenderti per riportarti al tuo paese”.
Con queste mie parole crude, amare, tristi, talvolta drammatiche, non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che stanno vivendo quelle persone dalla spiccata e dalla vigorosa dignità, che preferiscono morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaporare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente “Vita”.
Gennaio 2019″.

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