La Bielorussia, la rivoluzione nazionale e le aberrazioni del comunismo: l’Europa non stia a guardare

25 Mag 2021 13:40 - di Mgh
Europa

L’Europa – intesa sia come Unione europea che come comunità transnazionale spirituale e culturale – ha sempre guardato troppo poco ad Est. Certo, l’ammirazione dalle nostre parti per figure come Wojtyła, Wałęsa e Gorbačëv è cosa nota. Ma cosa c’è tra Polonia e Russia? Chiedetelo a un europeo, e non vi saprà rispondere. Quel lembo di terra che risponde al nome di Bielorussia è una delle aree più interessanti d’Europa. Abitata nel corso della storia da una comunità multiculturale fatta di ebrei, polacchi, lituani, russi, bielorussi e tedeschi, quest’area è diventata molto lentamente, e solo tardi, nazione. Ma una nazione a metà.

Contrariamente alla vicina Ucraina, dove il movimento nazionalista all’inizio del XX secolo era già forte (e ne abbiamo visto le conseguenze nella Rivoluzione Arancione), la comunità bielorussa, costituita prevalentemente da strati contadini, non aveva un’identità nazionale forte. Alcuni intellettuali formatisi a Vilnius, allora il centro della vita politica della confederazione polacco-lituana, tentarono di smuovere le masse, ma non ci riuscirono. L’Impero Russo vietava l’uso della lingua bielorussa, e ai contadini interessava più la propria terra che la nazione. Nel 1922 arrivarono i bolscevichi, che sovietizzarono e russificarono la popolazione. Il terrore stalinista e la Seconda Guerra Mondiale completarono l’opera: il primo decimò la popolazione ebraica (chiediamo scusa ai comunisti italiani se rivanghiamo un argomento per loro scomodo); la seconda ridusse in rovine Minsk, l’unico centro culturale e urbano del paese.

In epoca tardo-sovietica, una parte dei bielorussi si rese conto che era l’ora di rianimare un sentimento nazionale troppo assopito. Il Fronte Nazionale Bielorusso ‘Rinascita’ ci provò, ma come i suoi predecessori settant’anni prima, non ci riuscì. Aveva poco appoggio elettorale, le masse erano così sovietizzate che non si ricordavano chi fossero. L’arrivo al potere di Lukašenko nel 1994 soffocò il lieve anelito nazionale sul nascere: i simboli sovietici vennero ripristinati, la tradizionale bandiera bielorussa a fasce rosse e bianche proibita, il russo elevato a lingua nazionale. Ma oggi il sentimento nazionale bielorusso è cresciuto. Soprattutto i giovani cercano di rianimare una lingua che nessuno ormai parla più, in cui però sono state scritte opere letterarie fondamentali, al passo con le vicine letterature polacca e russa per qualità, originalità e vivacità. Una lingua legata a una cultura orale e profondamente europea, gelosamente custodita nei villaggi. I bielorussi vogliono una nazione libera, democratica ed europea. Vogliono una rottura con l’autocrazia imperialista post-sovietica. Vogliono, in sostanza, essere ciò che sono sempre stati: bielorussi. Una rivoluzione nazionale mai considerata dalle destre europee.

Sono scesi in strada diverse volte, i bielorussi, per protestare contro i continui brogli elettorali che hanno permesso al dittatore Lukašenko di restare in sella, certo anche dell’appoggio del Grande Fratello russo, guardato dalla comunità internazionale con un controproducente timor reverentiae. Ogni volta (nel 2006, nel 2008, nel 2010, nel 2011 e nel 2020, solo per citare alcune date), i bielorussi sono stati brutalmente picchiati, arrestati, violentati nel corpo e nell’orgoglio nazionale da un’autocrazia radicata nel cuore d’Europa, ma che non sembra preoccupare l’Unione Europea, troppo impegnata a riformare le desinenze maschili e femminili dei sostantivi e agli accordi con la Cina e più interessata allo sbocco ucraino sul Mar Nero che al vasto e agrario territorio bielorusso. Ma intanto donne, uomini, anziani e meno anziani, etero, queer, omosessuali – quelle categorie che l’Unione Europea sfrutta quando si tratta di mettere in scena il proprio liberalismo di facciata –, tutti vengono massacrati da Lukašenko. Tutti vittime di uno stalinismo 2.0, diretto erede della più cupa violenza sovietica, che ha lasciato tracce indelebili in tutto l’Est Europa, ma viene presentato dai compagni come un patrimonio ideologico da conservare e riproporre.

Ecco a che cosa ha portato il comunismo sovietico, ecco come continua a infestare il panorama europeo dopo diversi anni dalla sua (apparente) caduta. Ed ecco che il 24 maggio 2021 il dittatore fa dirottare un aereo di una compagnia europea per arrestare un blogger che ha osato criticare il sistema. Cosa farà l’Unione Europea adesso? Vaneggerà sanzioni come ha fatto con Putin quando ha annesso la Crimea? Farà sentire la sua voce? O continuerà a professare un femminismo mediatico sui social network, lasciando che la polizia speciale bielorussa violenti le dimostranti in carcere coi manganelli? È ora che l’Europa ascolti il canto della nazione bielorussa. Ne va anche della sua esistenza.

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