Blue Whale: istigò una dodicenne al suicidio. Condannata a un anno e mezzo una ragazza di Milano

20 Mag 2021 13:11 - di Davide Ventola
blue whale

Si è chiuso con una condanna a un anno e mezzo, con pena sospesa e non menzione, il primo e unico processo celebrato davanti al Tribunale di Milano nel quale una ragazza, ora di circa 25 anni, è finita imputata con le accuse di atti persecutori e violenza privata aggravati, per essersi spacciata per “curatore” nell’ambito della cosiddetta “Blue Whale Challenge” e per aver costretto, tramite i ‘social’, una minorenne di Palermo a infliggersi alcuni tagli sul corpo e ad inviarle le foto, come primo step delle 50 prove di coraggio. A deciderlo è stato ieri il giudice monocratico della nona sezione penale Angela Martone.

La vicenda, al centro di un processo durato due anni, era venuta a galla in seguito a una inchiesta sul fenomeno da parte di una giornalista che, fingendo di essere una minorenne pronta alla ‘sfida’, aveva aperto un profilo sui social ed era entrata in contatto con una alunna delle scuole medie di Palermo, ai tempi aveva 12 anni, che, nell’estate di quattro anni fa per qualche mese, aveva cominciato a giocare per davvero con la giovane imputata. Da qui la denuncia della stessa giornalista alle forze dell’ordine per segnalare i pericoli che stava correndo la ragazzina e l’avvio dell’indagine coordinata dal pm di Milano Cristian Barilli.

Blue Whale: la dodicenne costretta a tagliarsi

Tra il maggio e il giugno del 2017, la ragazza agi con un complice di origini russe allora di 16 anni. Contattò la vittima mediante profili Instagram e Facebook come “curatorlady”. Sostenne di essere uno dei “curatori” del gioco, indicandole e imponendole i gesti da compiere. Azioni già concordate con un complice.

“Se sei pronta a diventare una balena – recita uno dei messaggi inviati all’adolescente siciliana – inciditi Yes sulla gamba. Se non lo sei tagliati molte volte per autopunirti”. Inoltre la sadica ragazza milanese avrebbe reiterato le “proprie minacce”. Approfittò della “capacità intimidatoria” sulla 12enne. Sostenne infatti di conoscere il suo “indirizzo IP di connessione”, cioè il luogo da cui si connetteva e quindi di poter “raggiungerla e di ucciderla qualora avesse interrotto la partecipazione alla ‘Blue Whale Challenge‘”.

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