Ma che festa del Teatro, il mondo dello spettacolo è in ginocchio: e torna in piazza a Roma e Milano

27 Mar 2021 19:15 - di Lara Rastellino
mondo dello spettacolo in piazza

Altro che festa del Teatro che ricorre oggi: il mondo dello spettacolo è in ginocchio. I suoi lavoratori sono tornati in piazza oggi, da Roma a Milano. Da Venezia a Torino. Un comparto intero è alla canna del gas. E i tanti rappresentanti di categoria continuano a gridare la loro disperazione. Ma la risposta agli appelli è sempre quella della chiusura. Del rinvio delle aperture. Un copione drammatico che, proprio oggi che ricorre la Giornata internazionale del Teatro, si aggiorna all’ultimo atto dimostrativo con iniziative che, lungi dai toni celebrativi che il calendario indica, rinnova denunce e proteste degli operatori culturali in disarmo. E così, dopo il presidio di ieri in piazza Barberini a Roma, non lontano dalla sede del ministero del Lavoro, oggi diversi lavoratori del mondo dello spettacolo hanno organizzato un giorno di mobilitazione contro la chiusura delle sale a causa della pandemia per il Covid. Una rivendicazione di piazza che, come anticipato, arriva in coincidenza con quella che avrebbe dovuto essere la festa del Teatro. Una giornata che doveva anche segnare l’apertura dei teatri, secondo l’annuncio dato a suo tempo dal ministro della Cultura, Dario Franceschini. E invece…

Il mondo dello spettacolo torna in piazza: da Roma a Milano, da Torino a Venezia

La “due giorni” di protesta, promossa da Autorganizzati Spettacolo Roma e Professionisti Spettacolo Cultura, con l’adesione di Clap, Presidi Culturali Permanenti, Campo Innocente e Mujeres del Teatro, si chiude con gli organizzatori ancora senza risposte o spiragli utili a cui aggrapparsi. Un buio e un’assenza di prospettive, quelli che minano un intero comparto, che ha portato maestranze e personalità illustri per le strade di Roma. Dove, tutti insieme, sono andati a segnalare simbolicamente alcuni luoghi dello spettacolo e della cultura chiusi da un anno. Molti dei quali, anche laddove fosse possibile una ripartenza in sicurezza, non potranno riaprire. Una sorta di via crucis che poi si è conclusa con un’assemblea pubblica davanti al Teatro Argentina della capitale.

Il grido d’allarme di un settore in ginocchio

Assemblea a cielo aperto che ha rinnovato la drammaticità dello stato di crisi e la necessità di risposte e soluzioni. Oltre alla richiesta, già presentata, della convocazione di un Tavolo Interministeriale tra i dicasteri del Lavoro, della Cultura, dell’Economia e finanze e dello Sviluppo economico, la manifestazione ha posto l’accento sulla «situazione drammatica che si presenta dopo l’uscita del dl Sostegni». Con i lavoratori dello spettacolo che tornano a chiedere «un reddito che ci permetta di vivere dignitosamente fino alla reale ripresa del settore. E una riforma strutturale perché pensiamo che la normalità fosse già l’emergenza per tutti e tutte noi», hanno sottolineato i promotori della manifestazione.

Studenti e lavoratori dello spettacolo occupano il Piccolo di Milano

Non solo. Allarme e contestazioni si estendono dalla capitale a Milano. Dove, in occasione della Giornata del Teatro, il Coordinamento Spettacolo Lombardia ha occupato il Piccolo Teatro Grassi insieme a un gruppo di studenti e studentesse delle scuole di Milano. L’iniziativa, chiamata “Prove per uno spettacolo vivo“, è stata organizzata «per riportare il lavoro delle attività culturali come urgenza sociale, perché sia prioritario per il Governo». L’occupazione pacifica del Piccolo Teatro di via Rovello non è casuale: su Facebook, gli organizzatori spiegano che «è stato scelto questo luogo per la sua storia. Il Teatro Grassi è il primo teatro comunale di prosa d’Italia, nato con l’impegno di essere “un teatro d’arte per tutti”». “Prove per uno spettacolo vivo”, dicono allora i manifestanti milanesi, è «un gesto artistico e politico che rivendica lo spazio che da più di un anno è stato negato alla Cultura. Uno spazio per discutere. Denunciare le contraddizioni che la pandemia ha fatto emergere duramente nella nostra società».

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