San Patrignano: “Mio figlio ci puntava il fucile contro, Muccioli c’ha salvato”. Il racconto di una madre
San Patrignano, Muccioli, Neflix: oggi le polemiche sbattono contro il racconto di una madre. Una donna stravolta e minacciata dalla tossicodipendenza del figlio. Una sopravvissuta a quella terribile esperienza grazie alla comunità a cui, conferma lei stessa, deve tutto: a partire dalla rinascita del figlio. Oggi, a parlare di San Patrignano e del documentario su Netflix che non gli rende giustizia, è Paola Uguccioni, la mamma di un ex ospite che interviene nel dibattito acceso con il suo racconto. Accorato e doloroso, ma pregno di gratitudine e di riconoscenza per la comunità e Vincenzo Muccioli. Non vuole aggiungere sterili polemiche a inutili recriminazioni. Vuole ricordare e dire grazie. E partendo dal presupposto che «Muccioli ci salvò», e che è «triste rivangare gli errori con una serie tv», la donna racconta all’Adnkronos il dramma vissuto sulla sua pelle. La sua verità, respirata ogni giorno per tre anni, su San Patrignano. Muccioli. Su una madre e una vita stravolte dalla droga. E Su quello che il documentario manca di sottolineare.
San Patrignano e Muccioli: il racconto di una madre
La disperazione sua e del marito, genitori di Vincenzo, un ragazzo stravolto dalla droga che i genitori affidarono 25enne alla Comunità di recupero. Era il ’92, spiega la donna, e quando, disperati, i due decisero di chiedere aiuto, erano ormai stremati. Soggiogati da anni di dolori e di violenza. Momenti interminabili, durante i quali il ragazzo aveva già puntato contro i genitori il fucile. Per ben tre volte… E la mamma di un giovane salvato dalla comunità di San Patrignano, quei momenti li ha scolpiti nella memoria. Come tanti altri. E vuole raccontarli, come ha fatto, all’Adnkronos: a cui ha aperto il suo cuore e il cassetto della memoria, ripercorrendo l’esperienza più dura che un genitore possa vivere. Il documentario in onda su Netflix lei lo ha vissuto per tre anni ogni giorno, senza mai nemmeno avere la percezione di quella violenza che oggi sembra voler macchiare l’intera realtà.
«Nostro figlio ci puntò contro il fucile. 3 volte»
E allora parla, Paola Uguccioni. Racconta, ricorda, esamina e ringrazia. Muccioli, la sua comunità, quel percorso che ha salvato suo figlio e la sua famiglia. «Luca ha puntato il fucile contro di me e il suo babbo per tre volte. Ho bussato a tutte le porte, a psicologi, a centri di assistenza: nessuno mi rispondeva – racconta – Ecco, pur non avendola vista, credo che in questa serie manchi una cosa fondamentale: la voce, la disperazione dei genitori. Mio figlio e tutti i ragazzi finiti lì dentro potevano essere i potenziali assassini di Roberto Maranzano (l’ex tossicodipendente ucciso a botte nella macelleria della comunità e scaricato in una discarica in Campania avvolto in una coperta di San Patrignano, ndr). Ogni mamma ha desiderato le catene, intese come contenimento, per il proprio figlio succube della droga. Io a mio marito tutte le sere dicevo “spezzagli un braccio. Spezzagli una gamba. Fai in modo che non vada via, che non si vada a drogare. Lui mi diceva “perché non lo fai tu?”».
«Quando è uscito mio figlio era rinato. Sarebbe morto un mese dopo»…
«Chi non conosce la droga, chi non ha vissuto i suoi effetti. E chi non l’ha vista consumare un figlio, non sa. Non può discutere di San Patrignano. La cosa più triste è rivangare errori commessi in una realtà oggi molto diversa. Luca, il mio Luca, era lì, in comunità. L’ho affidato a Vincenzo Muccioli quando ero ormai finita, disperata. Quando tutti mi dicevano “non possiamo fare niente signora, se non vuole uscirne lui”». E ancora. «A San Patrignano è entrato nel ’92, aveva 25 anni. Ad agosto del ’95 è uscito. Mio figlio era rinato, Vincenzo sarebbe morto un mese dopo».
San Patrignano e Muccioli: «I ragazzi e il loro percorso per lui venivano sempre prima»
«Mio figlio lo accompagnò mio marito a San Patrignano – ricorda Paola –. Io non avevo la forza, ero finita. In comunità ha affinato le conoscenze che già aveva, noi siamo piccoli artigiani nel mondo del mobilificio. Luca lì faceva bellissime cose. Un giorno mi raccontò che Vincenzo (Muccioli, ndr) stava già male, lui era nei falegnami e doveva sistemare una tavola di un pavimento in legno. Antonietta, la moglie, che pure li conosceva uno ad uno, gli aveva detto di rimandare perché Vincenzo stava riposando. Lui, che dall’altra stanza evidentemente l’aveva sentita, le disse “lascia fare ai ragazzi il loro dovere”. Per lui venivano sempre prima, loro e il loro percorso. In quella comunità ho conosciuto una grande umanità, pur con tutte le difficoltà che si affrontano quando un problema è grande. Perché oggi rivangare una cosa così quando Sanpa è una realtà ormai davvero diversa dagli errori raccontati?».
«Non ne siamo ancora fuori. Oggi siamo ancora nel ’78»…
E continua, la mamma di Luca: «L’impotenza dei genitori è enorme, la droga ti fa fare cose assurde e ancora oggi non ne siamo fuori. Sembra siamo tanto lontani ma non è così. Ancora oggi siamo nel ’78, ancora oggi dobbiamo assistere a funerali, ancora oggi le Istituzioni sono carentissime rispetto a questi problemi. Non è colpa loro, purtroppo non ci sono i soldi, se ne aiutano due non ne possono aiutare quattro, ma pure gli altri due sono figli e loro chi li aiuta? San Patrignano è una delle poche realtà che apre le porte senza chiedere niente. Quando mio figlio è entrato lì è stato come fosse entrato in paradiso: è un posto di fatica, dolore e grande rispetto, ma è stato il sollievo di una disperazione. I ragazzi entrano lì incoscienti, inconsapevoli».
Grazie a Sanpa noi siamo vivi e mio figlio è rinato
«Chi non ha conosciuto Muccioli ha perso davvero tanto. Grazie a quella realtà noi siamo vivi, mio figlio è inserito socialmente, ha una famiglia. Oggi mi sento una donna fortunata e lo devo a Sanpa – conclude Paola Uguccioni –. Così mio figlio Luca, che non ha mai nascosto il suo problema. E che in camera da letto ha ancora una foto di Antonietta e Vincenzo»...