L’Italia non è un Paese per giovani. Istat: più vecchi e sempre di meno. Aumentano gli stranieri

15 Dic 2020 15:55 - di Redazione
Istat

Non siamo un Paese per giovani. Tutt’altro: l’Italia è un Paese sempre più vecchio. Lo certificano i primi dati Istat sul censimento permanente della popolazione. Tutte le classi di età sotto i 44 anni vedono diminuire il proprio peso rispetto al 2011. Al contrario, aumentano le persone dai 45 anni in su. Se nel 2011 rappresentavano il 48,2 per cento della popolazione, nel 2019 ne costituiscono il 53,2. Di conseguenza si alza l’età media rispetto al 2011: da 43 a 45 anni. La Campania, con 42 anni, si conferma la regione più giovane. La più “vecchia” è invece la Liguria, dove l’età media è di 49 anni. Era così anche nel 1951. Ma sia in Campania che in Liguria l’età media risultava più bassa di 13-14 anni rispetto a quella del 2019. Quanto al genere, le donne rappresentano il 51,3 per cento del totale.

L’Istat: «Il Sud si spopola»

Un Paese di vecchi e per vecchi è anche condannato allo spopolamento. In un anno, riferisce ancora l’Istat, l’Italia ha “perduto” circa 175mila persone. Alla fine del 2019 i censiti ammontavano infatti a 59.641.488 residenti. Un calo pari allo 0,3.  A spopolarsi sono solo Sud (-1,9 per cento) e isole (-2,3). Nel dettaglio, la Puglia ha perso quasi 100.000 abitanti (99.261), la Sicilia 127.614 e la Campania 54.667. La Calabria ha perso 64.940 abitanti scendendo a quota 1.894.110. In compenso, aumentano gli stranieri. Sono un milione in più (+25,1 per cento). I residenti aumentano invece nell’Italia centrale (+2 per cento) e in entrambe le ripartizioni del Nord (+1,6 Nord-Est e +1,4 Nord-Ovest). Più della metà dei residenti si concentra  in cinque regioni: Lombardia (16,8 per cento), Veneto (8,2), Lazio (9,7), Campania (9,6) e Sicilia (8,2).

Si allaga il divario territoriale

Le differenze tra Nord e Sud emergono con prepotenza anche dai dati relativi alla scolarizzazione della popolazione. Secondo l’Istat, la percentuale di analfabeti e alfabeti privi di titolo di studio è inferiore al 4 per cento in tutto il Nord, ad eccezione dell’Emilia-Romagna (4,3). Al Centro il valore oscilla tra il 3,9 del Lazio e il 4,8 di Umbria e Marche. L’impennata si registra nel Mezzogiorno con il 7 per cento della Calabria e il 6,7 della Basilicata. Resta bassissima la percentuale (0,4) dei  dottori di ricerca, il più alto grado d’istruzione. La regione con maggior laureati è il Lazio (17,9 per cento), che guida anche la classifica per i dottori di ricerca (0,7), seguita da Abruzzo (15,3), Umbria (15,2), Emilia-Romagna e Molise (14,9).

 

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