Strage di Bologna: parla Gabriella Negrini e conferma ciò che il “Secolo” scrive da oltre un anno
28 Nov 2020 18:52 - di Massimiliano Mazzanti
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Il “Corriere della Sera” di Bologna intervista – nell’edizione di sabato 28 novembre – Gabriella Negrini, il medico legale petroniano che raccolse i resti di Ignota 86: la misteriosa donna erroneamente identificata in Maria Fresu nell’agosto 1980. A parte l’ineleganza di rimarcare che sarebbe la “prima volta” che la Negrini racconta la verità su quel ritrovamento, l’intervista ha un’importanza notevole. Poiché non solo conferma quanto la stessa Negrini disse al Secolo d’Italia il 21 ottobre 2019, ma conferma anche quei dubbi che, pur non trovando esplicita testimonianza nelle sue parole di allora, l’intervistatore sollevò durante quel colloquio, illustrandoli ai nostri lettori.
Strage di Bologna: il ruolo della Negrini
Inoltre, nei ricordi di ora della Negrini, emergono curiose incongruenze con la relazione ufficiale dell’agosto 1980, quella stilata dal primario della Medicina Legale di Bologna, Giuseppe Pappalardo, che non potranno non avere rilievo nei futuri processi che ancora si celebrano per trovare la verità sulla Strage alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Incongruenze che confermano anche altri dubbi, espressi e pubblicati nel saggio contenuto in “Le Verità negate”, il fumetto sulla strage recentemente pubblicato da Ferrogallico.
In primo luogo, al Corriere, la Negrini conferma ciò che al Secolo non ebbe il coraggio di ammettere: il tentativo di far sparire lo “scalpo” – cioè, quel viso di donna strappato dal cranio -, nei giorni successivi al suo ritrovamento. Quando sentii dire che non si trovava una vittima, cioè, Maria Fresu, la Negrini segnalò l’esistenza dello “scalpo”, ma, dice oggi: “mi dissero che fra i resti repertati non c’era nulla del genere. Nessuna faccia. E venni liquidata”. Eppure, per quanto giovane specializzanda, la Negrini non poteva sbagliarsi, circa una cosa così eccezionale, che lei stessa aveva repertato.
Quello che non torna
Quando la Negrini repertò il resto e da dove proveniva? Anche qui, si apre un giallo: la Negrini oggi dice: “La notte tra il 2 e il 3 agosto” e ricorda che fu portato all’Istituto di Medicina Legale da “un esponente delle forze dell’ordine, non so se un carabiniere o un poliziotto”. Inoltre, la Negrini ricorda come fosse trasportato dentro uno “scatoloncino come quello dei biscotti Osvego” e, quindi, presumibilmente, che fosse stato raccolto e portato lì direttamente dalla stazione. Dunque, i resti di Ignota 86 sarebbe giunti alla Medicina Legale prima che l’allora pubblico ministero Persico – alle 8.15 del 3 agosto – disponesse “il trasporto a mezzo necrofori come chiesto dall’I.M.L.” di una “testa umana appartenente a cadavere femminile, per il di più a praticarvi” e indirizzando quest’ordine al “Posto di Polizia dell’O.M.”.
Se i resti repertati dalla Negrini fossero gli stessi di cui parla Persico, sono diverse le cose che non tornano: non solo l’orario, ma anche il trasportatore, agenti per la dottoressa, necrofori per il magistrato; se quei resti fossero giunti dall’O.M. e non direttamente dalla stazione, poi, com’è possibile che nel più grande ospedale della città non ci fosse un contenitore più adatto al trasporto, rispetto a uno “scatoloncino come quello dei biscotti Osvego”?Ancora: la Negrini sostiene, a proposito del fatto che, quando lo “scalpo” saltò nuovamente fuori da una cella dell’obitorio, fosse in un contenitore con un altro pezzo anatomico: “Di certo posso dire che quando quella scatola è stata inventariata, dentro non c’era nessun femore e osso dire con altrettanta certezza che da me venne messa via così”. Non è un ricordo di poco conto, dal momento che, per molti giorni successivi al ritrovamento, qualcuno cercò di far sparire il volto di Ignota 86: infatti, secondo la relazione Pappalardo, quando venne ritrovato, il 15 agosto, lo “scalpo” sarebbe stato rinvenuto avvolto in un lenzuolo assieme a un femore con un cartellino che recitava: “proveniente dall’Ospedale Malpighi”.
Le conferme di quanto detto al “Secolo d’Italia”
E la Negrini ricorda ancora di aver repertato quei resti col numero “57” dell’inventario apposito: annotazione che prima qualcuno manipolò – cancellando la dizione “testa di donna” con un più generico “pezzi anatomici” – e che è poi fu fatta addirittura dal registro ancora esistente alla Medicina Legale di Bologna.Tutti elementi che sarebbero – o si dovranno – chiarire, ma intanto va registrato come la Negrini, oggi, confermi altri tre, fondamentali aspetti, su cui il Secolo ha richiamato spessissimo l’attenzione dell’opinione pubblica:
in primo luogo, che è impossibile che i resti di Maria Fresu, ammesso che il suo corpo si sia “deprezzato” come hanno scritto i consulenti tecnici al processo a carico di Gilberto Cavallini, siano stati sparpagliati nelle bere delle altre vittime; in secondo luogo, che già nell’agosto 1980, il professor Pappalardo, il quale sottoscrisse l’identificazione sbagliata di quei resti in Maria Fresu, le confermò come quel volto “non era sovrapponibile a nessuna” delle altre vittime; ultimo, ma fondamentale, che si tratta probabilissimamente di una vittima in più, rispetto alle 85 già note. Infine, una nota di colore, per quanto macabro: anche la Negrini rileva oggi come bisognerebbe “per fugare ogni dubbio eseguire il dna sulle vittime morfologicamente compatibili (5 o 6, ndr). D’altro canto, nel caso di Yara Gambirasio l’hanno fatto a un’intero paese”. Parole che confermano la giustezza dell scelta del Secolo di chiamare Ignota 86 la persona sconosciuta che incarna tutti i misteri della Strage di Bologna.