Giorgia Meloni «Via il Dpcm Conte. E finita l’emergenza si torni a votare»
«Nel caso si immaginasse di volerci trascinare nel loro fallimento, che di questo si parla, pongo tre condizioni». Giorgia Meloni, in un’intervista al Corriere della Sera, va subito al sodo. «Primo, servono regole di ingaggio trasparenti, chi fa cosa e come. Secondo, il governo deve ammettere che l’efficacia della propria azione è stata nulla e abolire i provvedimenti sbagliati. Terzo, va stabilito fin d’ora, con garanzia del capo dello Stato, che appena usciti dall’immediata emergenza si torna a votare».
Giorgia Meloni e le alternative alla chiusura
Secondo la leader di Fratelli d’Italia ci sono alternative alle chiusure decise dal governo. E le elenca: «1) Test rapidi a tappeto per il tracciamento, anche operati da farmacisti. 2) Trasporti pubblici potenziati con pullman privati, con taxi collettivi anche degli Ncc. 3) Per le scuole termoscanner e non banchi a rotelle, tensostrutture, spazi da chiedere ai privati; sanificazione a spese dello Stato. E soprattutto stabilire un ordine di priorità».
«Le situazioni sul territorio sono diverse»
Inoltre sottolinea Giorgia Meloni, «non si può fare un discorso di settore. Se ho un ristorante con grandi spazi, rispetto le regole, perché non posso accogliere i clienti? Si diano prescrizioni stringenti, non divieti uguali per tutti in situazioni diverse. Come diverse sono le situazioni sul territorio. Dove c’è un cluster si chiude, altrove no».
Giorgia Meloni e il cinismo del governo
Già a Mezz’ora, la leader di FdI aveva parlato chiaro. Su ristoranti e bar, aveva detto, «il governo fa una cosa cinica». «Se stabilisci che ristoranti e bar alimentano una movida e decidi di chiuderli, allora chiudi. La cosa cinica di mantenerli aperti fino alle 18, che vuol dire mantenere i costi. Ma prevedere che non possano lavorare la sera per ripagare quei costi serve a dire: io non ti ristoro però la responsabilità è la tua. Questa cosa la politica non la può fare».