«Sangue a fiotti, poi Mario è crollato»: omicidio Cerciello, drammatico racconto in Aula. Il suocero sviene

15 Lug 2020 17:24 - di Filomena Auer
Omicidio Cerciello, foto Ansa, a sinistra Elder Finnegan Lee l'americano 19enne fermato per la morte del brigadiere Mario Cerciello Rega, a destra l'americano 18enne Gabriel Christian Natale Hjorth

Omicidio Cerciello, in Aula il dolore e la tensione sono palpabili. Lo stress, la rabbia e lo strazio si traducono in momenti di apprensione nella sala Occorsio del Tribunale di Roma, durante il processo per l’omicidio del vicebrigadiere dei Carabinieri Mario Cerciello Rega. E così succede che, mentre viene fatta ascoltare in udienza la telefonata ai soccorsi fatta la notte dell’omicidio, il 26 luglio scorso, dal collega Andrea Varriale, il suocero di Cerciello viene colto da un malore. E cade in terra. L’uomo non regge all’orrore di quegli istanti, gli ultimi attimi di vita del giovane carabiniere, e cede al suolo. I giudici della prima corte d’assise sospendono l’udienza. In quegli attimi concitati, infatti,c’è spazio solo per l’intervento del medico.

Omicidio Cerciello, drammatica testimonianza del collega

La testimonianza del collega della vittima, Andrea Varriale, è dura da ascoltare senza lasciarsi trasportare dal dispiacere. «Mario era in piedi, barcollava. Ha detto “mi hanno accoltellato”, e ho visto che perdeva sangue a fiotti dal costato. Poi è caduto in terra. Ho lasciato che i due americani fuggissero via e sono andato da Cerciello per cercare di bloccare il sangue con la mia maglietta». Varriale in aula ripercorre quei drammatici istanti. Sentito oggi come testimone al processo per la morte del collega, Mario Cerciello Rega, ha riferito i momenti dell’aggressione con i due americani. I due giovani accusati dell’omicidio: Finnegan Elder e Natale Hjorth.

Il suocero della vittima sviene in Aula

Parole agghiaccianti da ascoltare. Tanto che il suocere del vicebrigadiere non regge al colpo, e accusa un malore. Poi Varriale entra nella dinamica dell’aggressione mortale. «Abbiamo fatto quello che facciamo sempre. Ci siamo avvicinati frontalmente ai due. Abbiamo mostrato i tesserini. Ci siamo qualificati, dicendo che eravamo carabinieri. Loro – prosegue Varriale – non avevano nulla in mano. Noi volevamo soltanto identificare due persone. I due ci hanno immediatamente aggrediti. Io sono stato preso al petto da Natale e ci siamo rotolati in terra. Allo stesso tempo sentivo Cerciello che urlava “fermati Carabinieri”… Aveva un tono di voce provato»…

Il fermo, l’aggressione, poi Mario che sanguina e crolla al suolo…

L’aggressione è durata «pochi secondi – ha aggiunto il teste ascoltato oggi –. Io lascio andare il mio aggressore perché ero preoccupato per le urla di Mario. Alzo la testa e vedo lui in piedi che mi dice “mi hanno accoltellato”. Poi è crollato per terra. Mi sono quindi tolto la maglietta e ho provato a tamponare la ferita, ma il sangue usciva a fiotti. Ho chiamato subito la centrale per chiedere ambulanza».

Ecco perché non avevamo la pistola…

Non solo. Ricostruendo quanto accaduto quella maledetta sera, Varriale parla anche delle armi presenti o meno sulla scena del crimine. «Dovevamo avere la pistola, ma per praticità e per poterci mimetizzare fra la gente, l’arma è più un problema. Non mi è mai capitato di doverla usare nel servizi nella zona della movida». Lo dice chiaramente, Andrea Varriale, il carabiniere di pattuglia con il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, ucciso la notte del 26 luglio scorso. E rispondendo alle domande del pm Maria Sabina Calabretta, spiega anche il motivo per cui i due militari non avevano l’arma d’ordinanza.

Varriale: ero in servizio ma in borghese per mimetizzarmi tra la gente

«La Beretta pesa oltre un chilo ed è lunga 25 centimetri. Io ero vestito con una polo – ha aggiunto Varriale – dei jeans e le scarpe da ginnastica. Il nostro obiettivo, quando facciamo quel tipo di servizio, è confonderci tra la gente e mimetizzarsi. La zona di competenza era quella che va da Ponte Sisto, Campo de Fiori e piazza Trilussa. Il turno era dalla mezzanotte alle sei di mattina. Giravamo a piedi perché il controllo contro lo spaccio non si può fare in auto». Durante la testimonianza di Varriale, alcuni familiari di Cerciello non sono riusciti a trattenere le lacrime e il suocero, dopo aver avuto un malore, è stato trasportato in ambulanza in ospedale. L’udienza è stata quindi interrotta e aggiornata.

Elder deve essere valutato come “imputabile all’epoca dei fatti”

Nel frattempo, però, i professori Stefano Ferracuti e Vittorio Fineschi firmano la perizia psichiatrica, disposta dal tribunale di Roma. E centrata sullo studente americano Finnegan Lee Elder, accusato insieme con Gabriel Natale Hjorth, dell’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, ucciso a coltellate un anno fa. E nel documento, leggiamo: «Si ritiene che Finnegan Lee Elder fosse capace di intendere o di volere al momento del fatto». E quindi è «imputabile».

Per la perizia era capace di intendere o di volere

Non solo. Tra le righe della perizia troviamo anche: Elder «è persona che presenta un disturbo di personalità borderline-antisociale, di gravità medio elevata. Una storia di abuso di sostanze (in particolare Thc) e un possibile disturbo post-traumatico da stress». E infine, nelle conclusioni della perizia: «Tuttavia, non è possibile dimostrare che la condizione mentale accertata nell’Elder abbia compromesso la libera capacità decisionale del soggetto al momento del compimento dell’azione delittuosa. Riteniamo perciò che il signore sia da valutarsi come imputabile all’epoca dei fatti».

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