La sceneggiata degli Stati generali, i canoni di locazione e le misure beffarde del governo
Dopo dieci giorni di Stati Generali, fitti e serrati, anche agli occhi indiscreti della stampa malevola, si attendevano misure volte a favorire l’economia italiana. Il contributo delle parti sociali (quelle che hanno avuto il privilegio di essere state invitate) avrebbe dovuto offrire una visione d’insieme, un contributo da una prospettiva differente rispetto a quella spesso iperuranica del Governo. Il condizionale è d’obbligo, perché nonostante la più volte dichiarata “potenza di fuoco”, gli indicatori economici sono ancora tutti negativi e la percezione di chi ha il rischio dell’impresa sulle proprie spalle è quella di un paese in caduta libera. La chiusura forzata delle attività produttive e, ancora oggi, delle scuole oltre che di gran parte degli uffici pubblici (tra cui quelli giudiziari) ha interrotto, per molti il flusso finanziario di sopravvivenza; quello che avrebbe consentito di coprire le spese correnti, quelle pregresse e le imposte.
In una fugace apparizione del Presidente del Consiglio, sapidamente orchestrata dal suo Ufficio Stampa e ripresa dal Tg1 delle 13, alle timide esortazioni di alcune commercianti del centro di Roma, è stato risposto che (forse) le imposte verranno ridotte, affinché vengano pagate da tutti, sottintendendo l’attitudine dei molti ad evadere; quanto ai canoni di locazione ad uso commerciale, divenuti insostenibili – per come il commentatore del servizio ha lasciato intendere – è stato fatto un accenno confuso alla “cedolare secca”, accompagnato un gesto della mano dal quale si è (solo) intuita la volontà applicare una più bassa aliquota.
Questo, dunque, è il risultato degli Stati Generali.
La chiusura, per legge, di quasi tutte le attività imprenditoriali, artigiane e professionali (con un calo di introiti pari al 50% rispetto al trimestre Marzo-Maggio dell’anno precedente) ha indotto il legislatore a concepire quale sostegno il credito d’imposta. La misura prevista dall’art. 28 D.L. 19 maggio 2020 n. 34 (il cd. Decreto Rilancio) – che ha previsto di trasformare in credito d’imposta il 60% del canone versato nei mesi da Marzo a Maggio dai conduttori o meglio ha consentito di cedere quel credito ai locatori, come precisato anche nella circolare n. 14 dell’Agenzia delle Entrate – è evidentemente insufficiente.
In attesa che vengano offerte le indicazioni operative, perché i conduttori di immobili commerciali possano cedere il credito d’imposta pari al 60% del canone agli stessi locatori, solo il buon senso dei privati può giungere in soccorso.
Ecco, dunque, che i locatori lungimiranti, comprendendo le difficoltà in cui versano i conduttori (includendo anche i lavoratori delle libere professioni), hanno concesso autonomamente una riduzione del canone del 30, 40 e talvolta anche del 50%. Per legge e non per la benevolenza privata dovrebbe essere ripristinato l’equilibrio che la pandemia ha alterato.
Le drastiche e talvolta incomprensibili misure adottate per contenere la diffusione dell’epidemia avrebbero dovuto essere accompagnate da eguali iniziative, volte a sostenere l’economia, in modo mirato e non con l’usuale modalità assistenziale, tipica delle legislature vacillanti, in cerca di consenso. Il Legislatore ha il compito di prevedere in anticipo e dunque regolare i rapporti giuridici dei consociati.
Il Covid-19, come s’è detto in numerose altre occasioni, per pochi ha rappresentato la tempesta perfetta, per molti, oltre ai numerosi italiani colpiti direttamente o indirettamente dal morbo, un catalizzatore di sventura.