L’antiterrorismo Ue: «Dopo Al-Baghdadi l’Isis cerca rivincite, sale il rischio attentati in Europa»

30 Ott 2019 16:52 - di Redazione
Al-Baghdadi

L’Isis cerca la rivincita per vendicare l’uccisione di Abu Bakr Al-Baghdadi. E sale, così, il rischio di attentati terroristici in Europa.
L’allarme arriva dal capo dell’Antiterrorismo della Ue, Gilles De Kerchove. Che avverte: «l’Isis potrebbe risorgere».
Il coordinatore antiterrorismo dell’Ue, ritiene che ci siano almeno «cinque o sei» motivi che portano a ritenere che l’Isis «non sparirà». Neanche dopo la morte del capo dell’organizzazione. Che si è fatto esplodere con i suoi figli nel nord della Siria per non farsi catturare vivo dalle forze speciali Usa.

Intervistato dall’Adnkronos, De Kerchove spiega che la morte di Al-Baghdadi è «effettivamente» un «colpo importante» sferrato allo Stato Islamico. Che «ha già subito la caduta del Califfato e ora la morte del suo leader».
«Sono due fatti importanti che mettono in dubbio – ammette De Kerchove – l’invincibilità dell’organizzazione» fino a qualche giorno fa guidata da Al-Baghdadi.
Una struttura terroristica che è stata in grado di reclutare «40mila combattenti» in oltre cento Paesi.
Come ha fatto? «Perché – spiega coordinatore antiterrorismo dell’Ue – aveva questa immagine di invincibilità».
Un aspetto tutt’altro che secondario. E che, secondo De Kerchove, «ha portato anche alcuni gruppi di al Qaeda a cambiare fronte. E a mettersi con al Baghdadi».

Detto questo, «ci sono degli elementi che fanno pensare che l’organizzazione non sparirà, che è sempre lì. E che potrebbe persino risorgere».
Il primo aspetto riguarda la lungimiranza dell’Isis. Che «aveva previsto la caduta del Califfato e l’eliminazione del suo leader simbolico». E si è, pertanto, «decentralizzata» in modo «marcato».

De Kerchove cita, al proposito, un indicatore: «Abbiamo già visto dei wilayat (province, ndr) in Nigeria, Afghanistan e nelle Filippine diventare molto più autonomi e cooperare tra loro».

C’è, poi, un secondo elemento da considerare: l’Isis è un’organizzazione «molto resiliente». E ha avuto «l’occasione, durante il Califfato, di investire nell’economia reale. Dunque ha ancora una fonte di ricavi».
Si pensa che abbia ancora «9mila combattenti che operano in clandestinità, 6mila in Iraq e 3mila in Siria».
La Bbc ha contato in media «84 attentati» terroristici in Iraq in questo ultimo mese. «Il che indica che è ancora in grado di operare in Iraq».

Il terzo elemento riguarda, secondo De Kerchove, «l’ideologia che ha contribuito ad amplificare. Continua ad essere molto presente su Internet. Continua ad ispirare degli attori in tutto il mondo, Europa compresa».
Quarto elemento: le condizioni che hanno consentito a Daesh di svilupparsi «così rapidamente nel 2011 in Iraq sono sempre là».

Quando gli Usa hanno lasciato l’Iraq nel 2011, ricorda ancora De Kerchove, «al Qaeda in Iraq era quasi completamente distrutta. All’epoca gli americani avevano messo una taglia sul capo di al Qaeda in Iraq che non raggiungeva il milione di dollari, perché la valutazione dei servizi di intelligence americani era che al Qaeda in Iraq era quasi distrutta».

Eppure, tra il 2011 e il 2014, quando Al-Baghdadi ha «proclamato il Califfato a Mosul» in «soli tre anni» è diventata un’organizzazione che controllava «un territorio delle dimensioni del Regno Unito». Un’organizzazione che ha attratto «40mila combattenti». Cosa che è stata possibile perché c’era la congiunzione di «tre gruppi» di persone.

Primo: un «nocciolo» di «jihadisti convinti», ex-al Qaeda. Secondo: alcuni ufficiali dell’esercito di Saddam Hussein, che «il proconsole americano Paul Bremer aveva reso disoccupati». Gente che aveva il grado «di colonnello o di generale dell’Esercito, furiosi per aver perso il posto, la pensione, le relative prebende».

Il terzo gruppo, infine, era quello delle «tribù sunnite». Che, all’epoca, «subivano la politica molto settaria del primo ministro iracheno, al Maliki».
Poste di fronte alla scelta  «se sostenere un governo pro sciita oppure un’organizzazione molto violenta ma sunnita», molte tribù ««hanno scelto di sostenere l’organizzazione in via di sviluppo che è poi diventata Daesh».

Quindi, ragiona De Kerchove, le tribù sunnite «ritengono di avere da parte del governo centrale a Baghdad un sostegno». E ottengono soddisfazione alle loro richieste di ricostruzione postbellica? Hanno accesso sufficiente all’istruzione, alla sanità, all’acqua potabile? Io penso che non sia così».
Quindi, «oggi c’è una grande sfida per il governo iracheno», come quella di ricostruire «velocemente» Mosul, che «non è stata ancora ricostruita più di due anni dopo la liberazione, e le parti sunnite dell’Iraq, dove ci sono parecchie frustrazioni».

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