Ecco i retroscena degli sbarchi: il pentito vuota il sacco
«La mia intenzione era quella di fornire indicazioni utili circa una attività di contrabbando di tabacchi e di immigrazione clandestina di persone provenienti dalla Tunisia. In proposito ho riflettuto che in tale contesto criminale potevano anche essere trasportati, come clandestini, dei soggetti con problemi giudiziari in Tunisia per motivi di terrorismo». E’ il 16 agosto del 2016 e Arbi Ben Said, tunisino, in carcere per traffico di droga, decide di raccontare dal carcere i retroscena degli ‘sbarchi fantasma’ dalla Tunisia e dei possibili contatti con ambienti vicini al terrorismo. Inizia così il racconto alla base del blitz e degli arresti in quattro città. Un racconto tutto da leggere, che avvalora la tesi che dietro gli sbarchi si annidi il terrorismo, tesi rifiutata dai buonisti, e sempre contestata a chi cercava di mettere in guardia.
«In considerazione del particolare momento storico, soprattutto per quanto riguarda il terrorismo di matrice islamista, conoscendo le attività poste in essere dalle persone di cui vi parlerò in seguito, ho ritenuto fortemente probabile – prosegue- che attraverso il sistema di collegamenti via mare dell’organizzazione che ho conosciuto in Sicilia, alcuni terroristi possano giungere in Italia con il loro aiuto», racconta agli inquirenti il primo pentito della jiahad. «Nel febbraio 2016 sono ritornato in Italia, partendo dalla cittadina di Korba (Tunisia), con un passaggio su un gommone di circa 7 metri – con due potenti motori da 115 Hp – gestito da tale Hatem guidato da suo fratello Nizar – racconta ancora il pentito – Per tale passaggio clandestino ho pagato a mano, ad Hatem Zayyari una somma di 5.000 dinari in contanti. In quella occasione siamo partiti verso le 8 di sera per raggiungere dopo circa tre ore una località in prossimità di una pineta, ove ricordo di aver visto anche un faro, molto vicina – forse un chilometro – a Mazara del Vallo (Trapani). Durante il viaggio ho constatato che insieme a me vi erano altri dieci clandestini, solo uomini, tutti tunisini e all’interno dello scafo vi erano anche 20 scatole di sigarette di contrabbando di marca ”PIN”. Quella notte, dopo essere sbarcato ed essermi immediatamente allontanato sono andato a Marsala in un appartamento di un mio amico di nome Mahdi Awinet, in una via che al momento non ricordo».
«Boulaya è ricercato in Tunisia per avere sparato alla guardia costiera»
«Pochi giorni dopo, in un bar del centro di Marsala, di fronte alla cattedrale, ho incontrato un mio connazionale di nome Monji e con lui ho incominciato a parlare del più e del meno e quindi ho appreso che era al servizio di un soggetto di nome Fadhel conosciuto anche come ‘Boulaya’ per via della sua barba molto folta. Quest’ultimo, ho saputo che era un soggetto che vive a Strazati, una località vicino a Marsala, in una villa di sua proprietà ed è agli arresti domiciliari poiché già arrestato per traffico di armi – racconta ancora il collaboratore agli inquirenti – Inoltre, sempre per quello che mi ha raccontato Monji, Boulaya è ricercato in Tunisia per aver sparato a personale della guardia costiera tunisina e per tale motivo avrebbe da scontare ventuno anni di carcere in quel Paese e per quanto mi è stato detto nel 2011, nel corso della rivoluzione tunisina, sarebbe evaso dal carcere». «Durante la mia permanenza a Marsala ho quindi incontrato più volte Monji il quale dopo essere entrato in confidenza con me mi ha raccontato anche il tipo di lavoro che svolge per conto del citato Boulaya. In pratica, Monji, dopo aver preso le indicazioni da Boulaya si occupa di organizzare i viaggi di almeno tre o quattro gommoni che fanno la spola tra l’Italia e la Tunisia – da località, variabili in prossimità di Mazara del Vallo ed anche da Marsala – con partenze organizzate ogni volta che il meteo lo consente – racconta ancora il pentito – Come nel mio caso, i gommoni trasportano clandestini e tabacchi nell’ordine di circa dieci clandestini e 20/50 scatole di sigarette per viaggio. Sempre in relazione a quanto raccontatomi da Monji, ricordo che nel centro di Mazara del Vallo vi è un club/bar arabo di proprietà di tale Samir e di un altro suo socio, entrambi tunisini, che lavorano nell’organizzazione di Boulaya occupandosi della distribuzione delle sigarette che vengono contrabbandate dalla Tunisia».
Poliziotto compiacente
«Per quanto riguarda il pagamento dei viaggi da parte dei clandestini, per quello che è a mia conoscenza attraverso le discussioni che ho avuto con Monji posso dire che i clandestini normali pagano 5.000 dinari tunisini mentre le persone che sono ricercate in Tunisia, per vari reati compreso il terrorismo, pagano da 10000 dinari in su. Il contatto che lavora in Tunisia per conto di Boulaya chiede ai clandestini di esibire il documento e dopo di che effettua, grazie ad un poliziotto compiacente, dei controlli sulla loro posizione penale in Tunisia – racconta ancora il collaboratore di giustizia – Se l’esito del controllo è negativo, il clandestino paga 5000 dinari se invece è positivo paga da 10000 dinari in su. Dopo che i clandestini hanno pagato in contanti, aspettano una chiamata dall’uomo di Boulahya in Tunisia il quale fornisce la data e il luogo dell’imbarco». «Ricordo che in una occasione, nel giugno 2016 dopo la rottura del digiuno nel periodo di Ramadan, in un bar di Marsala mentre mi trovavo con Monji ed altre due persone ho sentito che nel corso di una discussione tra loro tre, Monji ha detto in modo molto sintetico che la sera precedente, a bordo di uno dei gommoni è successo un problema con la guardia costiera tunisina e quindi il gommone è riuscito a scappare e a bordo dello stesso vi erano anche tre ”barboni”, definiti letteralmente cosi da Monji e indicati come terroristi».