Processo Cavallini, l’intervista di Paolo Bolognesi e le perplessità

21 Giu 2018 16:30 - di Massimiliano Mazzanti
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Riceviamo da Massimiliano Mazzanti e volentieri pubblichiamo:

Caro direttore,
nell’ambito di una giornata abbastanza noiosa, dal punto di vista dibattimentale, il processo Cavallini offre un ottimo spunto interessante per un’intervista rilasciata a margine da Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna. Pubblicata dal quotidiano on-line InCronaca – testata dell’Università di Bologna. All’intervistatore, il Nostro dichiara, a proposito dell’assassinio di Piersanti Mattarella: <Ci sono delitti spinosi in cui loro sono stati assolti, come il delitto Piersanti Mattarella. Quel giorno Fioravanti era a Palermo per incontrare Licio Gelli capo della P2. Inoltre l’ex-Nar è stato riconosciuto come assassino dalla moglie che si trovava accanto nel momento in cui è stato ucciso. Alla fine lo hanno fatto passare come un delitto di mafia, ma secondo noi dell’associazione l’omicidio Mattarella ha dei collegamenti con la strage del 2 agosto. Teniamo presente che a un certo punto della sua carriera il capo della P2 decise di collegarsi a molte logge massoniche siciliane, per avere denaro e gente che sa sparare. Fioravanti e Cavallini potevano quindi essere dei killer collegati a organismi di un certo tipo». Ora, com’è ben noto, Cavallini e Fioravanti sono stati processati per l’assassinio del leader siciliano della Dc nonché fratello dell’attuale capo dello Stato, ma è altrettanto ben noto come siano stati completamente scagionati da quell’accusa. Il che – pensando a quanto Bolognesi sia affezionato alle “sentenze passate in giudicato” e quanto diventi irascibile, quando altri mettono in discussione i pronunciamenti finali della magistratura sulla strage – non può non sollevare perplessità. Qual è, infatti e allora, la “politica” dell’associazione familiari, rispetto alle sentenze della magistratura? Intoccabili, se interessano; sospette, quando confliggono con le convinzioni coltivate? Più che quella del presidente di un’associazione di vittime, quella di Bolognesi appare francamente come la posizione di un dichiarato esponente del Partito democratico, di un politico non immune al “doppiopesismo”. Un particolare che sarebbe utile solo a piccola polemica, in altro contesto, ma che assume ben altro aspetto nel novero di un processo che, evidentemente, giorno dopo giorno dimostra non tanto di mirare al “completamento” di una verità giudiziaria, quanto alla pura e semplice affermazione o riaffermazione sul piano giudiziario di una lettura degli “anni di piombo” che, in verità, non ha mai retto il vaglio dell’analisi storica. Oltre che ad aver subito, seppur fuori da Bologna, anche pesanti smentite nelle aule di giustizia. E comunque, per quanto le interviste non abbiano riflessi sull’operato dei giudici, almeno sul piano formale, le parole di Bolognesi sembrano voler contribuire a un condizionamento dell’opinione della Corte e in particolare dei “giurati popolari”, dando anche la sensazione che, all’accusa sia tutto concesso, anche smentire pubblicamente quelle verità giudiziarie che non sono funzionali al risultato perseguito. Alla difesa, invece, non si risparmia nulla, qualsiasi cosa si sostenga, qualsiasi cosa venga profferita in aula, con la palese distorsione mediatica di ogni frase, di ciascuna singola parola. Sempre a proposito dei familiari delle vittime, ieri Valerio Fioravanti, in un passaggio della sua lunga deposizione, ha riconosciuto proprio l’altissima civiltà delle persone più direttamente offese dall’esecrando attentato, sottolineando come, in tanti anni e pur essendo, lui, dichiarato colpevole, non sia mai stato oggetto di contestazioni e men che meno di atti di palese ostilità, ogni qual volta è stato costretto a tornare sotto le Due Torri, dentro e fuori dal Tribunale. Sui giornali d’oggi, però, quella stessa espressione viene valutata e additata all’opinione pubblica come gesto di sfida, di arroganza del terrorista verso le vittime. Insomma, l’ennesima dimostrazione di un clima che non s’attaglia alla delicatezza del processo penale che, per quanto possa essere drammatica la situazione che si è chiamati a valutare, dovrebbe svolgersi sempre nella severa serenità della Legge.

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