Mezzogiorno di fuoco nel Pd: tutti contro tutti, nessuno escluso
Volano gli stracci nel Pd: e al redde rationem si consuma un feroce tutti contro tutti, nessuno escluso. Renzi contro Martina, donne contro uomini, la maggioranza contro gli ineludibili frondisti e i giovani dem che levano gli scudi contro l’ex segretario a cui, pur in uno scomposto puzzle di frammentazioni, il Nazareno sta celebrando ormai da settimane un lungo funerale. Il clima fra i dem è teso e confuso e con uno occhio rivolto al Colle e un altro al difficile riassetto interno, il partito procede verso l’Assemblea del 21 in ordine sparso. Decisamente sparso.
Pd al redde rationem: tutti i nodi da sciogliere prima del 21
E nel caos più disarmante che mai, riesce a intravedersi persino un qualche, sparuto, punto di riferimento. Come la lista dei contendenti alla leadership che si allunga di giorno in giorno: Matteo Richetti, Nicola Zingaretti, Maurizio Martina e adesso ufficialmente anche Debora Serracchiani. L’unico punto fermo? Il no netto all’eventualità di un governo con il M5S: «La logica di Di Maio è irricevibile. Pd e Lega non sono certo interscambiabili», ha dichiarato solenne il reggente aprendo l’assemblea dei gruppi Pd. Dunque, i nodi si intrecciano al pettine a partire da quello della leadership, che andrebbe sciolto entro il 21, sempre più inestricabilmente affastellato su quello della partita del governo. Un mosaico con tante tessere mancanti o non ancora assegnate, a cui manca l’indicazione di una collocazione chiara: quella di Matteo Renzi, al momento in tutt’altre faccende affaccendato e che dal day after la debacle elettorale del 4 marzo non fa altro che ripetere – come fosse un mantra – «tocca a loro». Una linea che tiene: «Il Pd giovedì andrà al Colle e dirà le cose che sono state dette in Direzione», ha ribadito Ettore Rosato in vista del secondo giro di consultazioni. Tutto nella convinzione che, come spiegato da Matteo Orfini, «la maggioranza Salvini-Di Maio-Berlusconi c’è già», e posto che è sulla guida del partito che i delegati aspettano le indicazioni di Renzi.
Segreteria e post elezioni: il Pd in cerca del ruolo perduto
I vertici dem si sfilano dunque dalle consultazioni post-elettorali e rimescolano il mazzo per ridistribuire le carte almeno al tavolo del Nazareno dove, l’ex segretario – che non ha preso parte alla riunione dei gruppi – continua ad avere l’atteggiamento silente e concentrato di chi tiene l’asso nella manica da calare al momento giusto: in Assemblea. Ma non per ritirare le sue dimissioni, come qualche “pasdaran” ha fatto intuire nelle ultime ore. «Un congresso al più presto per rifondare il Pd», è stata l’ultima proposta della renziana Alessia Morani: una linea rivendicata ancora nei giorni scorsi da Graziano Delrio. Agli angoli del ring, infine, prova a gestire il match Matteo Orfini che, provando a evitare che predomini la strategia del “colpo sotto la cintura”, sottolinea: «Da presidente dell’assemblea auspico che ci sia una candidatura unitaria attorno a una personalità che possa gestire il partito nei prossimi mesi. Se non ci saranno le condizioni per questo, allora faremo il Congresso». E proprio su questa eventualità starebbero lavorando nelle ultime ore i renziani, forti di un dato di fatto: «In Assemblea abbiamo numeri schiaccianti». Sull’intesa il 21, tra l’altro, si era sbilanciato anche Andrea Orlando: «Sarebbe meglio. Ma questo non deve spaccare il partito», aveva detto. Il punto, quindi, sarebbe quello di trovare un nome su cui convergere plebiscitariamente. I petali della margherita renziana, al momento, sarebbero ridotti a due: Martina o Lorenzo Guerini. La resistenza di Graziano Delrio alle lusinghe, infatti, sarebbe insuperabile. Da definire, poi, ci sarebbe il tipo di mandato da assegnare al nuovo segretario. Tutto questo, però, se il quadro istituzionale non dovesse mutare velocemente. La strada verso il 21, insomma, è ancora parecchio accidentata e il percorso per arrivarci tutto da definire…