È scontro negli Usa su “John Doe”, l’americano dell’Isis preso dai siriani

20 Apr 2018 20:00 - di Redazione

L’amministrazione Trump ha presentato un ricorso contro l’ordine con cui un giudice federale la notte scorsa ha bloccato in extremis la consegna alla Arabia Saudita di un cittadino americano detenuto dalle forze americane in Iraq e sospettato di appartenere allo Stato Islamico. Si prolunga così la battaglia legale sul destino dell’uomo, di cui non è stata rivelata l’identità. L’uomo, che la stampa americana chiama John Doe, è stato catturato da forze siriane a metà di settembre e poi consegnato alle forze americane in Iraq, dove attualmente si trova. Secondo quanto riportato, l’amministrazione Trump ritiene di non avere sufficienti prove per incriminarlo di fronte un tribunale federale, come ha fatto per altri cittadini Usa catturati tra le file dell’Isis, ma non vuole neanche rilasciarlo. Da qui l’idea di trasferirlo in un Paese terzo – che fonti ufficiali Usa hanno confermato a The Hill essere l’Arabia Saudita, dal momento che l’uomo ha anche la cittadinanza saudita – in modo da togliersi il problema dalle mani. L’American Civil Liberties Union, l’associazione per i diritti civili, ha sostenuto l’appello contro il trasferimento, considerato una violazione dei diritti del detenuto in quanto cittadino americano. E la notte scorsa il giudice federale, Tanya Chutkan, ha accettato di bloccare il trasferimento, poco prima che diventasse effettivo. L’uomo nega di essere un membro dell’Isis, come invece sostiene il governo americano, e afferma di essere stato rapito dall’organizzazione terroristica mentre si trovava in Siria per scrivere articoli sul conflitto. La decisione del giudice federale “è una vittoria dello stato di diritto, la corte protegge i diritti costituzionali di questo cittadino americano e mette sotto controllo l’esercizio eccessivo del potere esecutivo dell’amministrazione Trump”, ha affermato l’avvocato dell’Aclu. “Il governo americano non può fare quello che vuole con un cittadino americano – ha concluso – dopo oltre sette mesi di detenzione, o lo incrimina o lo rilascia”.

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