Per Confindustria il problema non è la crescita economica ma il ritorno al voto
13 Dic 2017 12:33 - di Redazione
Confindustria si dice più preoccupata delle prossime elezioni che dell’altalenante andamento dell’economia italiana. «Saranno un bivio», prevede il centro studi di Viale dell’Astronomia a conclusione del rapporto sulle previsioni macroeconomiche di dicembre. Previsioni che fan ben sperare Confindustria per l’anno in corso e quello che verrà (per entrambi la crescita del pil è data all’1,5), meno per il 2019, la cui prima stima fissa l’incremento all’1,2 per cento.
Confindustria: rialza il Pil per il 2018 (+1,5%)
Numeri e percentuali che fanno dire all’associazione degli imprenditori che l’Italia «è riuscita a restringere, ma non a chiudere, il divario nell’incremento del pil con il resto dell’Euro area» pur restando «ampia la distanza dal picco pre-crisi». E qui s’innesta la preoccupazione di Confindustria in merito agli scenari politici del dopo-elezioni. «Le prossime elezioni politiche – avverte infatti Confindustria – si presentano come un test molto rilevante e disegnano per il Paese una biforcazione tra il proseguire il lungo cammino delle riforme o non far nulla (che, in termini relativi, vuol dire arretrare), se non proprio tornare indietro».
«No alla demagogia da campagna elettorale»
Oltre all’«instabilità politica», l’associazione guidata da Vincenzo Boccia teme soprattutto le «misure demagogiche» che «per motivi di consenso» caratterizzano quasi sempre le campagne elettorali ma che nel medio-lungo termine rischiano di abbassare il «potenziale di crescita». Sono questi due fattori – spiega ancora il centro studi di Confindustria – che in Italia costituiscono «le origini antiche del male di lenta crescita» oltre a rappresentare «rischio» per la prossima legislatura. La posizione degli industriali non è una novità. In tutta Europa, ormai, le consultazioni elettorali cominciano ad essere presentate come un lusso sempre più tossico per i mercati e l’economia. L’obiettivo è la criminalizzazione del consenso. Chiunque prospetti un’alternativa agli attuali assetti politico-finanziari della Ue è bollato come demagogo e populista. Ovviamente, tocca a leader e partiti dimostrare che la politica non è una notte in cui tutte le vacche sono nere e, soprattutto, che la voce dei popoli non può essere messa a tacere da banche e mercati.