Visco, Renzi fa solo propaganda: la sinistra rimane l’ancella dei poteri forti

18 Ott 2017 16:28 - di Aldo Di Lello

Non occorre essere dietrologi raffinati per individuare il carattere meramente strumentale e propagandistico della mozione Pd per la non riconferma di Ignazio Visco al vertice di Bankitalia. Il fatto è che Renzi vuole far dimenticare lo scandalo di Banca Etruria e tenta di disattivare in anticipo un argomento che gli verrà scagliato contro  in campagna elettorale: quello di essere, lui e il suo partito, legati al potere bancario e di essere i responsabili politici delle malefatte compiute in questi anni da padroni  e padroncini della finanza.

Ora Renzi dice che nelle «banche è successo di tutto»

Il leader del Pd non vuole insomma fare la fine di Bersani, che si vide esplodere la bomba Mps nel bel mezzo della campagna elettorale del 2013. E non vuole nemmeno che il picco di impopolarità raggiunto dalle banche in questi anni (gli insufficienti controlli di Bankitalia governata da Visco sono costati 20 miliardi di euro al contribuente, oltre alla rovina di migliaia di risparmiatori) si ritorca tutto contro il Pd. Quale miglior espediente, allora, che improvvisarsi “fustigatore” del malcostume bancario? All’indomani della mozione Pd contro Visco, Renzi rincara la dose e dice che nelle «banche è successo di tutto per la mancanza di vigilanza». Ma chi vuole prendere in giro? In quel “tutto” non c’era per caso anche il caso Etruria in cui era invischiato il padre della Boschi?

La storica contiguità tra sinistra e Bankitalia

Il leader del Pd è certo un abile giocoliere, ma, per quanto esperto, non potrà mai cancellare un dato che è nel Dna stesso del Pd: la contiguità con i poteri forti, segnatamente quelli bancari. E non si tratta di un fatto recente, ma di un dato storico e in qualche modo “genetico”. Il partito di Renzi nasce infatti dalla confluenza di due storie e culture politiche: quella del fu Pci-Pds e quella della sinistra democristiana. Ed in entrambi i casi c’è una vicinanza con le banche e con Bankitalia. Forse, a beneficio degli immemori, sarà il caso di ricordare fatti e personaggi della storia recente e di quella meno recente, che rendono bene l’idea dei rapporti amichevoli tra  sinistra e Palazzo Koch. E per ragioni di spazio evitiamo di parlare del “salotto buono” dell’alta finanza. Limitiamoci dunque solo a Bankitalia.

Andreatta e il divorzio tra Bankitalia e Tesoro

Il primo personaggio che incontriamo è Beniamino Andreatta, anomalo democristiano di sinistra  e tecnocrate dello Scudocrociato. Era ministro del Tesoro nei primi Anni Ottanta. Il suo ultimo discepolo è Enrico Letta, ma l’allievo più illustre è Romano Prodi.  Andreatta è passato alla storia per il divorzio tra Bankitalia e Ministero del Tesoro avvenuto nel 1981. Tutti ricordano quel passo come l’inizio luminoso  dell'”autonomia” da Palazzo Koch. In realtà si rivelò un’autentica sciagura per l’economia italiana e per il bilancio pubblico. Il divorzio voluto da Andreatta servì, sì, a mettere sotto controllo l’inflazione, schizzata al 20% nel 1980, ma il prezzo, salatissimo, fu il raddoppio del debito pubblico italiano in poco meno di un decennio, con tutti i guai della politica di bilancio che ancora ci affliggono.

Da Carli a Ciampi, da Occhetto a Prodi

Quell’evento del 1981 fu l’inizio della progressiva perdita di sovranità di governi e parlamenti sulla politica monetaria. Ma l’opera fu completata, negli Anni Novanta, da due ex governatori di Bankitalia, entrambi investiti nell’ultima fase della loro vita da compiti di “commissariamento” politico: Guido Carli e Carlo Azeglio Ciampi. Il primo fu il firmatario per l’Italia, in qualità di ministro del Tesoro, del Trattato di Maastricht. Il secondo come ministro dell’Economia impose, insieme con l’allora premier Romano Prodi, l’ingresso dell’Italia nell’euro, che faceva comodo solo ai tedeschi, e a condizioni per noi disastrose.  In mezzo a tutte queste vicende merita anche di essere ricordato il viaggio di Achille Occhetto alla City di Londra, quando tutti pensavano che il Pds sarebbe andato, di lì a qualche mese, al governo. L’ultimo segretario del Pci, prima ancora di vincere le elezioni, s’era già presentato al gotha dei poteri forti mondiali. Questa è la storia. E Renzi non riuscirà certo a farla dimenticare.

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