“Dottor chef”? Non convince l’idea del governo di istituire corsi di laurea
Un cuoco da 110 e lode non s’era ancora visto, almeno con tanto di diploma di laurea in cucina. Presto, con il decreto legislativo del ministero dell’Istruzione all’esame del Senato, arriveranno i dottori in Scienze, politiche e culture della gastronomia e in Scienze economiche e sociali della gastronomia. Una prima reazione dei grandi chef sembra all’insegna di una certa freddezza, se non di un plateale scetticismo. Non senza, però, qualche apertura nei confronti di un passo che viene complessivamente ritenuto utile, anche se non indispensabile a certificare la sapienza tra i fornelli. Per Filippo La Mantia, titolare dell’omonimo ristorante milanese, oggi il cuoco “deve essere un po’ tuttologo: deve conoscere anche le grandi tematiche sociali e culturali, ma, anche come ambasciatore del Programma alimentare mondiale a Milano, penso che il cuoco debba restare fedele alla sua identità: è un cuoco, non un santone. Per questo deve restare con i piedi per terra, saper ascoltare e rispondere, ma soprattutto deve saper far mangiar bene le persone, a cominciare dalla conoscenza delle materie prime che utilizza”. I corsi di laurea? “Il cuoco contemporaneo – afferma – ha bisogno di informazioni, di saperi oltre che di sapori nuovi, ed è giusto che studi e sappia relazionarsi con quello che si trova di fronte oggi”. Insomma, se il classico di tutti i tempi è La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi (antesignano di decine di migliaia di titoli sull’argomento), dalle parti del ministero della Cultura si è valutato che gli autodidatti, per quanto eccelsi, hanno fatto il loro tempo. E allora ecco arrivare il decreto legislativo firmato dal ministro Valeria Fedeli e inviato al presidente del Senato Pietro Grasso per il prescritto parere della commissione competente di palazzo Madama sulla definizione della nuova classe di laurea in “Scienze, cultura e politiche dell’alimentazione” e della nuova classe di laurea magistrale in “Scienze economiche e sociali della gastronomia”. Nella relazione illustrativa si ricorda che nell’offerta formativa universitaria già esistono classi affini, come “Scienze e tecnologie agro-alimentari” e “Progettazione e gestione dei sistemi turistici”, ma “non rilettono più il quadro complessivo della formazione superiore nel settore della cultura gastronomica e della ristorazione, divenute al contrario di estrema rilevanza per il sistema economico italiano” anche ai fini della professionalizzazione e dell’occupazione dei giovani. Insomma, Master Chef va bene in tv, ma non per questo un Dott. Chef con tanto di fatidico ‘pezzo di carta’ non è da meno. Ma i corsi sembrano destinati ad una platea più ampia degli aspiranti grandi cuochi, per investire le figure di esperti, consulenti, agenti, persino comunicatori della gastronomia intesa come insieme di conoscenze basate anche su nozioni di storia, scienza, politica, trend globali.