Il referendum leghista è una boiata. Troppa autonomia uccide lo Stato

18 Ott 2017 12:24 - di Mario Landolfi

A sentire Libero, pare che dopo Lombardia e Veneto altre cinque regioni si accingano a reclamare maggiore autonomia dallo Stato. Todos caballeros, evviva! Ci permettiamo tuttavia di non condividere tanto entusiasmo e di obiettare che se fosse questa la ricetta per l’Italia, la Sicilia sarebbe il nostro Eldorado. La Sicilia trattiene il cento per cento delle entrate fiscali mentre l’Ars, il suo parlamento, può legiferare su tutto tranne che sulle questioni di spada, toga e moneta. In più, il suo governatore partecipa alle sedute del Consiglio dei ministri sulle questioni che riguardano l’isola. Eppure, la Sicilia è tutt’altro che un esempio di buongoverno. Evidentemente, i modelli istituzionali contano fino a un certo punto. Di sicuro contano meno della qualità della classe dirigente.

La Sicilia dimostra che non è l’autonomia la ricetta giusta

Sembra un ragionamento scontato. Ma fatica a farsi largo perché ci siamo convinti che dalla crisi si esce moltiplicando i centri di spesa, diluendo le responsabilità ed eliminando i controlli. Di autonomia in autonomia abbiamo ridotto lo Stato a poco più di un orpello o, all’occorrenza, a un bancomat. L’antico, obeso, e onnipresente Moloch oggi è un anoressico manichino che cede poteri a vantaggio dell’Europa e delle regioni. Del resto, Costituzione alla mano, oggi lo Stato è solo un «elemento costitutivo» della Repubblica, alla pari del più sperduto comune italiano. Infatti, a differenza che in passato, sugli atti di un’amministrazione comunale non vigila più nessuno. Persino il segretario comunale, un tempo sentinella ministeriale, è oggi alla mercé del sindaco che lo sceglie. Risultato: ogni città è una repubblica e ciascuna regione fa più o meno quel che vuole in competenze decisive come energia, trasporti, telecomunicazioni, turismo, ambiente e via elencando.

La politica non conosce vaccini, ma solo droghe

Sono gli effetti devastanti del “capolavoro” della sinistra che da ben tre lustri manda l’Italia in giro per il mondo agghindata nelle pezze di Arlecchino. Nel frattempo, nessuno si è preso la briga di spiegare se tanta autonomia ci ha resi economicamente più forti, territorialmente più competitivi, politicamente più responsabili o se, come temiamo, è stata solo acqua di fuoco per intontire i villani. A giudicare dalla protervia con cui insistiamo nell’errore, sembrerebbe buona la prima. Tanto è vero che domenica prossima i cittadini lombardi e veneti saranno chiamati a rispondere ad uno scontato quesito in tal senso in un referendum tanto costoso (61 milioni di euro) quanto inutile poiché non previsto dalla Costituzione. Lo ha voluto la Lega Nord, ma vi si sono accodati tutti gli altri partiti, ad eccezione di FdI-An. Evidentemente, a costoro le tensioni della Catalogna appaiono lontane. E forse è così. Ma domani? Un dato è certo: chi crede che un po’ di autonomia immunizzi dal federalismo e che poi un po’ di federalismo protegga dall’indipendenza e, infine, che un po’ di indipendenza ci salvi dalla secessione, sta sbagliando i suoi conti: la politica non conosce vaccini, ma solo droghe. Non è questione di dosaggi, ma di principi. La Spagna se ne sta accorgendo solo ora: ha ceduto per non perdere e ora rischia di perdere dopo aver ceduto. Di questo passo, i prossimi saremo noi.

 

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *