Caro Galli della Loggia, l’«Italia è sola» perché non è una Nazione
«L’Italia è sola». Più che un allarme, è un’amara constatazione quella firmata da Ernesto Galli della Loggia per il Corriere della Sera. Di più: è il frutto di un’analisi severa, quasi spietata, purtroppo vera. Che si parli di emergenza migranti o di contenzioso con la Francia, l’Italia – argomenta Galli della Loggia – si ritrova nella condizione di «Paese senza alleati». Condizione inedita e drammatica se solo si pensa al ruolo strategico rivestito dalla Penisola al tempo della Guerra Fredda che ne faceva il partner più prezioso degli Stati Uniti. Ma ormai quell’assetto geopolitico è tramontato trascinandosi dietro anche la centralità dell’Italia, che non a caso tenta di surrogare le pur fondamentali relazioni transatlantiche con il più spinto degli europeismi. Ma la Ue – scrive ancora Galli della Loggia – non è altro che la maschera dell’egemonia teutonica appena addolcita dal cosiddetto asse franco-tedesco. Sia come sia, il risultato è sempre lo stesso: l’Italia è al rimorchio degli interessi altrui. E quando ci sarebbe da difendere il nostro interesse nazionale, come nel caso del voltafaccia francese sugli accordi tra Stx e Fincantieri o con l’interventismo di Macron in Libia, la risposta di Roma è sempre debole, impacciata, timida. Ci trasformiamo, invece, in ultras dell’europeismo e del liberismo quando sono gli altri a fare shopping (e che shopping) con le aziende di casa nostra. L’interrogativo, a questo punto, è d’obbligo: perché solo noi? Perché solo a noi risulta difficile quel che francesi, tedeschi, spagnoli e inglesi fanno con naturalezza, cioè tutelare i loro interessi? Sono tre – a giudizio di Galli della Loggia – gli «handicap micidiali» che l’Italia «continua a scontare» nei confronti internazionali: innanzitutto la «divisività parossistica» delle forze politiche, specie quelle di sinistra «sempre pronte a recarsi alla City – si legge ancora nell’editoriale – per ottenere il placet prima delle elezioni o innamorarsi con lo straniero di turno»: ieri Blair, poi Obama, ora Macron. Seguono «l’irrimediabile instabilità dei nostri governi» e, infine, «la permanente inadeguatezza del nostro strumento militare». Tutto vero, ma c’è un non-detto che pure emerge a tratti dalle righe e che a che fare con il nostro carattere nazionale e, ancor di più, con la nostra lacerata memoria collettiva. Ed è questo: se l’Italia non riesce ad essere nazione, è solo perché questo concetto è stato bandito dal dopoguerra fino a tutti gli anni ’90. Siamo privi di cultura nazionale perché questa è stata ritenuta (a torto) il liquido amniotico di cui si è nutrito il fascismo. Alla cultura comunista internazionalista e a quella cattolica, estranea al processo unitario risorgimentale, insieme egemoni nel secondo dopoguerra, non è apparso vero poter buttare via il “bambino” della nazione insieme all’acqua sporca (che tutta sporca, per altro, non fu) del fascismo. Oggi ne scontiamo le conseguenze. E non illudiamoci: sarà così fino a quando questa elementare verità non sarà ricordata.