Parma, “antifascisti” stuprano 18enne: la condanna solo dopo anni di omertà

15 Lug 2017 14:37 - di Massimiliano Mazzanti

Purtroppo, è cosa fin troppo nota: negli osceni santuari dell’antifascismo può succedere di tutto, al di là d’ogni limite del legale, senza che nessuno o quasi se ne preoccupi. A tutto c’è un limite, però, e a Parma, ieri, tre dure condanne sono state comminate ad altrettanti “antifascisti” che, nella loro azione politica, non avrebbero disdegnato di violentare ripetutamente una “compagna” e proprio all’interno dei locali della sedicente “Rete antifascista parmigiana”. A onor del vero, in questo giudizio di primo grado, i tre condannati potrebbero pure pensare “d’essersela cavata”, in qualche modo, dal momento che, rispetto alla richiesta del pubblico ministero – il quale chiedeva pene di quasi dieci anni – Francesco Concari e Francesco Cavalca sono stati condannati a 4 anni e 8 mesi e ad ancor meno, 4 anni, Valerio Pucci, non avendo i magistrati riconosciuto alcune aggravanti contestate dalla Procura.

La bestiale violenza di cui fu vittima una diciottenne risale a ben oltre 7 anni or sono e il fatto fu scoperto del tutto casualmente dai Carabinieri. Infatti, dopo l’ignobile stupro, una rete di omertà e di minacce fu stesa dai “compagni” e, cosa ancor più grave, dalla “compagne” della vittima affinché nulla trapelasse. Poi, però, a seguito di indagini su un attentato alla locale sede di CasaPound (avvenuto il 30 agosto 2013), gli investigatori misero mano su un vecchio telefono cellulare sul quale gli aguzzini non avevano mancato di riprendere alcune delle atroci scene delle sevizie perpetrate ai danni della ragazza. Pur con questa inoppugnabile prova in mano, gli investigatori dovettero sudare le proverbiali sette camicie per riuscire ad attribuire le responsabilità agli “antifascisti” ora condannati, andando ripetutamente a sbattere contro i muri di vergognosa omertà che i militanti della Rete Antifascista alzavano per proteggere i loro “compagni”. Oltre alla pena detentiva, i tre imputati sono stati condannati al risarcimento della vittima, in misura di 21 mila euro, e interdetti dai pubblici uffici.

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