Lavoro, la Cgil stronca il “Jobs act”: disoccupazione potenziale al 18,6%

8 Lug 2017 11:42 - di Redazione

Tacciano le fanfare (renziane) sulla disoccupazione in diminuzione e sugli effetti miracolistico del Jobs Act. La situazione, stando almeno ad uno studio sul mercato del lavoro («La disoccupazione dopo la grande crisi»), aggiornato a giugno 2016 ed elaborato dalla Fondazione Di Vittorio per la Cgil è molto più preoccupante di quanto non lascino credere non solo i proclami di Palazzo Chigi ma persino le statistiche ufficiali sugli occupati.

La FDV: con la “condizione percepita” i disoccupati sono 5, 2 milioni

Secondo, l’analisi della Fondazione, infatti, in Italia la disoccupazione potenziale sarebbe di circa 2 milioni in più rispetto al dato ufficiale. Il dato è ricavato da un’ulteriore stima della disoccupazione, il tasso di disoccupazione potenziale, ed è stato ottenuto utilizzando le rilevazioni della Bce e la percezione degli intervistati dell’Istat. A far lievitare le stime sulla disoccupazione, infatti, è la cosiddetta “condizione percepita” dalle persone che all’interno delle forze di lavoro potenziali aggiuntive (Flpa), riferiscono di sentirsi in cerca di occupazione. Letta così, la disoccupazione schizza al 18,5 per cento, ben 6,8 punti sopra il tasso ufficiale, e il numero dei senza lavoro sale a 5 milioni e 200 mila.

La Cgil: fallite le politiche per l’occupazione

«Il valore è molto più alto rispetto al dato ufficiale – ha sottolineato il presidente della Fondazione Fulvio Fammoni – e conferma quindi che nell’inattività si cela una quota importante di disoccupazione che le statistiche tradizionali non catturano». Nel rapporto si spiega infatti che il tasso di occupazione italiano, 8,3 punti sotto quello della zona euro, non è compatibile con un tasso di disoccupazione ufficiale solo 2 punti più alto: dati spiegabili solo con la dimensione dell’inattività. Secondo la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti, «da questa rilevazione emerge un quadro di grave sofferenza del mercato del lavoro», ragion per cui appaiono «incomprensibili i tanto sbandierati ottimismi sul recupero occupazionale degli ultimi mesi. La crescita non solo non è consolidata, ma è costituita prevalentemente da lavoro povero e debole».

 

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