“Mafia Capitale”, la parola ai pm: «L’inchiesta non è un Truman show»

11 Apr 2017 14:12 - di Francesca De Ambra

Mafia Capitale” imbocca l’ultima curva. La parola all’accusa per la requisitoria, seguita dall’arringa delle difese. Alla sbarra 46 imputati con accuse che vanno dall’associazione a delinquere di stampo mafioso alla corruzione ma anche turbativa d’asta, minacce ed estorsione. Tra questi  spiccano i nomi di Massimo Carminati, il “Nero”, e di Salvatore Buzzi, il “Rosso”.

Più un’autodifesa che una requisitoria

Ma non ci sono più quelli eccellenti di Gianni Alemanno e di Nicola Zingaretti e di tanti altri, tutti falcidiati dal decreto di maxi-archiviazione che rischia di lasciare la procura capitolina con poco o nulla in mano. Anche perchè, ad azzoppare e a rendere malferma l’inchiesta sono intervenute anche sentenze, autorevoli testimonianze (Cantone su tutti), che hanno sparso più di un dubbio sulla mafiosità dello spaccato romano. Dubbi che pesano anche nell’avvio di requisitoria del procuratore aggiunto Paolo Ielo, il primo pm ad intervenire nell’aula bunker di Rebibbia. Dopo sarà la volta dei sostituti Luca Tescaroli e Giuseppe Cascini. Ielo dovrebbe attaccare, ma è costretto a giocare sulla difensiva: «Non è stato un Truman show – esordisce -, i vari protagonisti parlavano di fatti veri. L’associazione mafiosa sta tutta qui in questa aula, è quella che è stata contestata nell’ordinanza di custodia cautelare, sbaglia chi pensa che con il decreto di archiviazione si sia sgonfiato tutto. L’accusa non è in guerra con nessuno, dal 416 bis alle frodi fiscali – dice in conclusione -, questo Ufficio non ha giocato barando». Parole che segnalano una forte tensione. “Mafia Capitale” è apparsa sin dall’inizio una forzatura giudiziaria.

Le tante ombre di “Mafia Capitale”

Ma la procura non ci sta: «L’esercizio dell’azione penale – assicura il procuratore aggiunto – si è collocato per tutte le fattispecie di reato nel solco degli orientamenti giurisprudenziali». Ma la forzatura è solo il primo dei dubbi addensati su “Mafia Capitale”. Il secondo riguarda il merito della vicenda, cioè l’aver appiccicato l’etichetta di mafiosità su una vicenda di corruzione politico-affaristica, purtroppo simile a tante altre. Ielo lo sa e attacca: «Il cuore di questo processo sono le intercettazioni telefoniche e ambientali, che costituiscono una prova autonoma senza bisogno di riscontro. Ascoltatele anche voi e verificate se il tono di quelle dichiarazioni e di quelle conversazioni fosse quello di quattro amici al bar che chiacchieravano».

 

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