Wto: se Trump lo demolisce, il mondo può cambiare davvero. Ecco come
Ricordate la rivolta di Seattle del 30 novembre 1999? Fu l’ultimo evento di una certa importanza del XX secolo. Il grande pubblico, quello dei non addetti ai lavori, apprese in quell’occasione tre grandi notizie. Primo: nel mondo si aggirava uno strano animale chiamato globalizzazione. Secondo: esisteva un’altra entità, non meno misteriosa, chiamata Wto. Terzo: esisteva un movimento no-global. Chi non si limitò a leggere i titoli, apprese anche una quarta notizia, di un certo interesse: il movimento no-global era quanto mai trasversale. Si ritrovarono in piazza, questa volta insieme, estrema destra ed estrema sinistra. Comparvero strani personaggi, come José Bové, sindacalista francese dai baffi spioventi che si batteva in difesa dei formaggi del suo Paese.
Che cos’è il Wto
Ma che cos’era (e che cos’è) il Wto? È una sorta di corte costituzionale globale che si ingerisce nella legislazione degli Stati in nome del principio del libero commercio. E non si limita solo a sanzionare gli Stati che applicano dazi. Famigerato è ad esempio il principio delle cosiddette “barriere doganali non tariffarie”, invocato dalle multinazionali ogm contro le etichette che informano i consumatori se questi stanno acquistando un prodotto alimentare naturale oppure uno che contiene organismi geneticamente modificati. In base allo stesso principio, non si possono ad esempio colpire le merci ottenute con il dumping di cui i cinesi fanno largo uso.
“America First”
Ora Trump, secondo quanto riferisce il Financial Times, ha deciso di fare guerra al Wto. Non si tratta ancora dell’uscita dall’Organizzazione mondiale del commercio, ma del tentativo di aggirarne la giurisdizione in nome di una legge americana del 1974, che autorizza il governo federale a difendere i prodotti statunitensi. “America First”.
Computer più cari, ma più posti di lavoro
Le conseguenze di una delegittimazione del Wto (è nato il 1 gennaio del 1995) da parte degli Usa sarebbero gigantesche. Perché parliamo della superpotenza che per prima ha invocato il principio del libero commercio mondiale facendo largo uso dell’arma dei ricorsi contro gli Stati contro cui è in guerra commerciale. Il mondo, per come l’abbiamo conosciuto negli ultimi vent’anni, non sarebbe più lo stesso. Le reazioni a catena che si produrrebbero, potrebbero, nell’immediato, colpire anche l’export di un Paese a vocazione manifatturiera come l’Italia. Ma tale inconveniente sarebbe compensato da diversi vantaggi. Innanzi tutto avremmo una più efficace tutela contro il dumping. In secondo luogo verrebbe rilanciato il mercato interno, con effetti positivi su occupazione, redditi e salari. Certo, computer e smartphone li pagheremmo più cari. Ma, con più occupati e con buste paga più pesanti, neanche ce ne accorgeremmo.