La sorpresa del “San Giorgio” a Maccarese: una gran tavola gourmet vicino Roma

15 Mar 2017 12:28 - di Catia Sulpizi

Una delle frasi preferite dei gastro-maniaci-bipolari-compulsivi è “ho fatto un’esperienza” per indicare una tavola in cui si è andati oltre la rifocillazione, appagando tutti e cinque i sensi. “Le esperienze” sono rare e come tali difficili da trovare, spesso per scovarle si prende una bussola/guida e si seguono le stelle. Ma se la stella che cade nella notte di San Lorenzo ti affascina, quanto può ammaliarti quella che cade inaspettatamente in una notte cupa e gelida sotto i tuoi occhi impreparati a ricevere così tanta bellezza? Ecco varcare la porta sperando di non buttare alle ortiche il pranzo della domenica e uscire con il desiderio di tornarci a cena nella stessa giornata per me è come la stella cadente nella notte cupa. Di “loro” (Andrea Viola e Valerio Volpi) sapevo poco più di nulla. Nel piccolo borgo in cui sono collocati ci sarò passata 200 volte andando verso Fregene e mai avevo colto la presenza del castello, figuriamoci del ristorante “San Giorgio” a Maccarese. Poi per fortuna “è domenica anche per noi” ed ognuno ha il suo Mosè ad aprir le acque e a mostrar il sentiero. 

Alle 13:00 entro.
Alle 13:05 in bagno ho la certezza/presunzione che sarei stata bene, ma la tengo per me. 
Alle 13:10 Mosè dice “in questo posto daranno il massimo, il massimo per le loro possibilità, ma daranno il massimo”. 
Per me vale sempre la vecchia regola che due indizi fanno una prova, e quando Lei (Noemi Apollonio) si avvicina e dico “complimenti per il bagno” lei mi sorprende con voce umile, ma fiera, ma è risponde “grazie, mi fa veramente felice, lo curo molto, so che è brutto e non vedo l’ora che al rinnovo del contratto il padrone ce lo ristrutturi come ci ha promesso”. Ecco che gli indizi sono pure troppi.
Moderna ristorazione all’italiana. Questo è il nome che ho dato alla mia esperienza. La ristorazione italiana che per molto tempo ci ha rappresentati è quella delle vecchie osterie a conduzione familiare, dall’ambiente autentico, a tratti verace, la cucina sincera e una location simile ad un salone di casa allargato. È evidente, spero non solo a me, che la ristorazione segue la corrente ciclica dell’onda, un po’ come la moda, le varie forme d’arte e la vita stessa. Un’onda rappresentata nel suo ventre dalle osterie, nella fase di salita dai grandi ristoranti da banchettistica degli anni ’80, nella cresta dai luoghi di culto “gourmand” tipici del nuovo inizio Millennio, ed ora nella fase di discesa, prima di giungere ad un nuovo ventre, da locali come il “San Giorgio” di Maccarese, ma alle porte di Roma. Ovvero locali che hanno la forma nelle tovaglie di lino e il cuore in quelle a quadri bianchi e rossi. Nella forma ho visto gli inutili orpelli tramandati dall’epoca “gourmand”. Nel cuore ho visto la scelta di una coppia giovanissima, che decide di metter su bottega e famiglia nel paesino natale di lui malgrado nulla della zona giochi a loro favore. Ho visto una sala, nella sua semplicità di decoro, impeccabile. Ho visto proporre, con la tranquillità con cui mia nonna mi darebbe un piatto di lasagne a 7 strati, piatti dall’equilibrio complicatissimo e dalla risultanza perfetta. Ho visto una carta dei vini umile, ma un servizio di sommellerie fiero e capace. Ho visto la padrona cercar di conquistare con cura, passione e professionalità il classico tavolo odioso del tipo “io non ho fame mangio solo un piatto però mi sbrano pane e piccola pasticceria offerti”. Ho visto sempre lei abbracciare la figlia di due anni dopo il sevizio del pranzo e spiegarle orgogliosa i “dolcetti che fa papà”. Ho visto le “3 C” con cui si può riassumere il concetto di moderna ristorazione all’italiana: Cucina, Concretezza, Calore. 
Cosa manca a questo locale? La ricordate la canzone: Per fare un tavolo ci vuole il legno/per fare il legno ci vuole l’albero/per fare l’albero ci vuole il seme/per fare il seme ci vuole il frutto/per fare il frutto ci vuole un fiore/ci vuole un fiore, ci vuole un fiore/per fare un tavolo ci vuole un fio-o-re.
Beh qui il tavolo lo sanno costruire ed anche molto bene, però manca il legno, l’albero, il seme, il frutto e il fiore. Hanno bisogno di clienti, che portino moneta, diano coraggio, spiegano a fare scelte. Se il giornalismo enogastronomico avesse ancora un senso che va oltre il filosofare del nulla, non si dovrebbe trovare più posto in questo locale. Ed ora i piatti: 
“Tramezzino tonno e pomodoro”:
 in realtà abbiamo una cernia al vapore, pomodorino infornato e spuma di basilico. Godurioso e divertente. 
Tartare di cefalo cerino con finocchi, arancia e olive: arduo il compito di trovare una tartare in cui la materia prima del pesce non viene stravolta o coperta da un condimento invasivo, in questo caso invece si riesce ad accompagnare e a ben prolungare il gusto. Finocchi/arance/olive, un abbinamento tradizionale così attualizzato: arancia in “finto-caviale”, caramello di liquirizia, estratto di finocchietto, cialda di olive.
Carciofo caldo freddo di gamberi. Carciofo alla romana, tartare di gamberi rossi, caviale di spigola di loro produzione, latte di cocco, mentuccia, maionese di gamberi, cialda di grano arso. Mai avrei immaginato che il cocco potesse allinearsi con il carciofo. Un piatto dall’inaspettato equilibrio millimetrico. Elegante, persistente, variegato nelle sue sfumature. Un piatto veramente notevole. 
Scampi in kataifi all’italiana con fegatini e gelato all’alloro. Pietanza di cui ho chiesto il bis. Scampi avvolti in tagliolini fatti con ristretto di scampi e farina, hummus di ceci, fegatini, crema di uova di scampi, gelato all’alloro, olio al coriandolo. Altra preparazione che evidenzia una mano centrata e una mente in grado di partorire accostamenti audaci, ma armoniosi. Avvolgente, goloso con forti contrasti che coinvolgono tutto il palato.
Involtino primavera con tofu di fave e gelato di colomba. Involtino di verza, riso integrale e verdure, crema di tofu, fave decorticate cialda di riso soffiata e gelato di colomba nostra produzione e soia. È il terzo strike che mi lascia senza parole. 
Il tofu di fave con il gelato di colomba è qualcosa di sensoriale.
Polpo a Colori. Polpo cotto a pressione e rosticciato, con ciauscolo marinato alle erbe, giardiniera di verdure e maionese di basilico, zenzero, lampone, polpo e gelatina di giardiniera. “Finalmente” una leggera défaillance. Legata non alla tecnica e agli accostamenti che continuano ad essere ineccepibili, ma alla qualità e alla presentazione del ciauscolo che rimane debole in un piatto in cui forse si chiedeva una spinta in più. 
Giardiniera favolosa. Pappardelle paglia e fieno ripiene di coniglio alla cacciatora con ostriche e lenticchie. Su entrambi i due primi ho trovato una debolezza. Qui lo spessore della pasta con un ripieno leggermente asciutto rendono difficile la deglutizione del boccone. La poca salsa non basta.
Debole inoltre la cacciatora che dovrebbe garantire quel giusto apporto di acido necessario a bilanciare il piatto. 
Gnocchi ripieni aglio e olio alle erbe con besciamella di calamari, pennette, asparagi e bottarga. Stesso discorso di prima sulla deglutizione, in più qui abbiano le consistenze troppo monocorde.
Ripieno alle erbe ugualmente debole.
Ravioli orientali con brodo di porcini e soia e frutti rossi.
Ravioli di riso e frumina cotti al vapore ripieni di cicerchia e frutti rossi, con brodo di porcini e soia e erba cipollina.
Grandissima ripresa con un mix tra oriente e occidente che mi ha mandato in orbita.
Spaghetto con le telline. Piccolo preambolo prima di dire che cosa penso del piatto: la cosa che mi ha maggiormente conquistato di questa cucina è la moltitudine di ingredienti nel piatto senza che la cosa diventi un’accozzaglia di sapori e di grassi che si sovrappongono. Tutto è complesso, ma allo stesso tempo misurato e pulito. Nella risultante quindi c’è gusto senza pesantezza. Finora, come avrete notato, nemmeno un filo d’olio in eccedenza nel piatto. Ciò mi conquista doppiamente perché sento che mangio anche più cose, ma continuo ad avere la sensazione della leggerezza. Personalmente quando si tratta di primi piatti “tradizionali” vorrei che questa filosofia sparisse. Vorrei avvertire il soffritto, il ludico di una salsa che accompagna la pasta. Ma è un appunto soggettivo e non oggettivo, chiamiamolo pure retaggio personale. Ne consegue che questo spaghetto, seppur dalla centrata cottura, non trovi il mio palato a causa di una salsa che è più un’essenza leggera, un’accompagno quasi neutro, ma anche se il sapore è di una tellina di buona qualità. 
L’orto di Maccarese. Un piatto abbastanza frequente oramai nei menù. Qui la qualità degli ortaggi di zona aiuta molto.
Baccalà Total White. Migliorabile la cottura del baccala, leggermente asciutto e con la pelle a se stante.
Cheesecake di fagioli neri speziati, stracchino e gelatina di limone. Altro colpo sapiente di contrasti azzardati, ma centrati.
Variazione di Cioccolati Carciofo, Nocciola, Cassis e Ace. Uno dei pochi casi in cui il dolce è all’altezza del salato e viceversa.
Zuppetta di verdure con gelato energizzante.

Ottima chiusura.

 

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