Nuova bufera su Expo, la Corte dei conti procede per «danno da tangente»
La Procura regionale della Corte dei conti della Lombardia ha notificato il primo atto di citazione per un danno erariale superiore a un milione di euro, nell’ambito del procedimento di responsabilità amministrativa istruito per le procedure di gara indette dalla società pubblica Expo 2015. Nessun dettaglio, però, è stato fornito sul destinatario del provvedimento, del quale si sa solo che è «soggetto che all’epoca delle procedure di gara, oggetto di turbativa, rivestiva posizioni di rilievo primario nella gestione della società Expo 2015, già incise dall’esercizio dell’azione penale».
Nel mirino le “architetture di servizio”
Si tratta, dunque, delle stesse vicende già oggetto di procedimenti penali nei confronti di funzionari pubblici. Del resto, la stessa indagine sul danno erariale, istruita dalla procura contabile e condotta con la collaborazione con del nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano, è scaturita dall’attività investigativa coordinata dalla Procura di Milano. A comunicare l’emissione del provvedimento di notifica è stata la stessa Corte dei Conti della Lombardia, spiegando che riguarda, in particolare, la procedura di gara per l’affidamento «dell’appalto integrato concernente la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori di realizzazione delle cosiddette “architetture di servizio”, afferenti al sito per l’Esposizione universale anno 2015». Un appalto aggiudicato al raggruppamento temporaneo di Imprese (Rtc) “Impresa di Costruzione Maltauro – Cefla Società Cooperativa”.
Contestati il «danno all’immagine» e il «danno da tangente»
Nella nota della Corte dei conti lombarda si legge che «sono stati contestati, il danno non patrimoniale all’immagine della società Expo 2015, nonché il danno patrimoniale da tangente, entrambi addebitati nei confronti di soggetto che all’epoca delle procedure di gara, oggetto di turbativa, rivestiva posizioni di rilievo primario nella gestione della società Expo 2015, già incise dall’esercizio dell’azione penale». Inoltre, specifica il tribunale contabile, «il danno erariale da erogazione tangentizia a favore di pubblici funzionari connessa ad aggiudicazione di appalti, in particolare, è stato ritenuto configurabile poiché nessun imprenditore ragionevole corrisponde una utilità a un amministratore se non per ottenere un vantaggio superiore, o almeno pari, a tale erogazione, non potendo un homo economicus partecipare a gare e lavori pubblici per munifico spirito liberale o per diletto e, dunque, in perdita o in pareggio, sottraendo, irragionevolmente, all’utile di impresa le erogazioni tangentizie a funzionari corrotti».
I numeri dell’appalto contestato
Dunque, per i magistrati contabili quelle che vengono definite come erogazioni tangentizie «devono fatalmente e
logicamente essere accollate alla pubblica amministrazione, o attraverso meccanismi operanti sui prezzi di aggiudicazione o nella fase esecutiva dell’affidamento (perizie suppletive o varianti in corso d’opera)». In particolare, la pubblica gara contestata aveva un importo a base d’asta di oltre 67 milioni di euro ed è stata aggiudicata per l’importo contrattuale di circa 56 milioni, al netto del ribasso praticato in sede di gara, ma «tuttavia, a seguito di varianti in fase esecutiva, tale importo è stato incrementato in svantaggio della società pubblica con l’addizione dell’ulteriore somma di 2.916.797,61».