Saronno, l’infermiera che denunciò i sospetti: «In quell’ospedale succedeva di tutto»

12 Dic 2016 13:08 - di Giulia Melodia

Dalla sua denuncia è partita l’inchiesta che ha portato ai fermi degli amanti diabolici, il medico Leonardo Cazzaniga e l’infermiera Laura Taroni, e oggi, la donna che per prima ha segnalato come, in quell’ospedale di Saronno, vigeva di fatto una «situazione totalmente fuori controllo», è tornata a parlare. «Succedeva di tutto, ma poteva essere bloccato molto prima», ha spiegato a suo nome l’avvocato Carlo Basilico, legale rappresentante dell’infermiera Clelia Leto che con la sua querela depositata in Procura a Busto Arsizio (Varese) ha dato il via alle indagini sulle morti sospette in corsia al pronto soccorso alle porte di Varese.

Saronno, parla l’infermiera che denunciò i sospetti

Nell’inchiesta sono state iscritte nel registro degli indagati quindici persone indagate a vario titolo per omessa denuncia, favoreggiamento e falso ideologico, tra cui lo stesso Leonardo Cazzaniga (arrestato con l’accusa di omicidio volontario di quattro pazienti) e la compagna e infermiera Laura Taroni, in carcere con l’accusa di aver ucciso il marito in concorso con l’amante medico. Una svolta che ha portato a fare luce su ombre e sospetti paventati da molti, ma taciuti dai più, dovuta principalmente alla denuncia querela presentata dall’infermiera di cui oggi, l’avvocato che la rappresenta, ha spiegato che: «La mia assistita sta bene e affronta serenamente il momento continuando il suo lavoro… Non vuole rilasciare interviste nel rispetto delle indagini ancora in corso». Poi, entrando nel merito dei sospetti denunciati dalla sua assistita, rispetto al periodo in cui la donna, secondo le carte, si è accorta di presunti comportamenti illeciti di Cazzaniga in pronto soccorso, il legale ha spiegato come già in precedenza l”infermiera avesse «segnalato numerose volte, anche verbalmente, che qualcosa non andava. Ma non è stata mai ascoltata, anzi, osteggiata e minacciata da Cazzaniga tanto da andare incontro a problemi di salute dovuti alle pressioni dello stesso e a un forte stress».

L’inchiesta tra gravi silenzi e omesse denunce

A quel punto, ha proseguito il legale ricostruendo il contesto in cui è maturata la decisione della sua assistita di rivolgersi agli organi competenti, «l’infermiera a quel punto ha ritenuto di doversi presentare personalmente in Procura anche perché, oltre a quello che succedeva in corsia, vi erano comportamenti strani anche rispetto agli accessi ai farmaci». Una situazione complessa almeno quanto strana, che, ha rincarato ulteriormente la dose l’avvocato, «non era possibile che in quell’ospedale non fosse nota». In ultimo, rispetto ad alcune notizie uscite nei giorni scorsi, l’avvocato ha tenuto a precisare con chiarezza che «in televisione è stato detto che la madre della Cleto abbia inviato delle lettere: ma questa notizia non corrisponde al vero. La signora – ha concluso il legale sgomberando il campo dagli equivoci una volta per tutte – non conosce minimamente gli aspetti della vicenda denunciata dalla figlia, e non ha mai scritto alcuna lettera a nessuno». Intanto, a proposito di chi sapeva, di chi non sapeva, e di chi, pur sapendo, potrebbe aver taciuto, l’avvocato Renato Mantovani, legale difensore di Paolo Valentini – ex direttore del presidio ospedaliero di Saronno, indagato per omessa denuncia e favoreggiamento nell’ambito dell’inchiesta sulle morti sospette in corsia al pronto soccorso –  precisa che il suo assistito «sta rispondendo alle domande degli inquirenti, e continuerà a farlo ogni qualvolta sarà necessario». L’uomo è stato convocato questa mattina in procura a Busto Arsizio (Varese) dal Procuratore Capo Gianluigi Fontana e dal Sostituto Cristina Ria. Il suo legale, che non ha voluto entrare nel merito, in una pausa dell’interrogatorio ha spiegato in sostanza che il suo assistito vuole innanzitutto chiarire la sua posizione.

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